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Vinitaly, Cia: “Rafforzare settore con svolta genetica. Ue acceleri su legge”
di Roberta Mannino

Cambiamenti climatici e contraccolpi economici e geopolitici della guerra in Ucraina non salvano neanche il settore del vino Made in Italy, tra i più forti a livello internazionale per produzione e qualità. Ecco perché serve più innovazione e ricerca in ambito vivaistico, ma anche una legge Ue per l’uso delle nuove tecniche di miglioramento genetico, strategiche nel rafforzare un settore che vuole rispettare l’impegno per la sostenibilità preso con il Green Deal Ue, ma anche tutelare la sua crescita e competitività. A dirlo è CiaAgricoltori Italiani dalla 54° edizione di Vinitaly con il convegno nell’Area Meeting Spazio Mipaaf dal titolo “La qualità delle produzioni vitivinicole a partire dal materiale di moltiplicazione. Stato dell’arte e prospettive” insieme ai Moltiplicatori Italiani Viticoli Associati (M.I.V.A.) e al Centro di Ricerca in Viticoltura ed Enologia (CREA-VE).

 

L’Italia -ricorda Cia- è il primo Paese produttore di vino al mondo con 44,5 milioni di ettolitri nel 2021. Insieme a Spagna e Francia, che la seguono sul podio, rappresentano il 45% dei volumi globali, il 79% in Europa. Eppure, il climate change ha procurato al comparto nazionale un calo della produzione anche oltre il 10% rispetto al 2020. Una variabile sempre più ingestibile, quindi, anche per le 310 mila aziende vitivinicole italiane che per garantire l’aumento delle rese, ridurre l’impatto dei prodotti chimici e risparmiare risorse idriche, avrebbero bisogno di alternative sfidanti e, soprattutto, di varietà più resistenti.

 

Per Cia, dunque, occorre una normativa comunitaria che regoli il settore in materia di genome editing che è in grado di garantire un taglio dei fitofarmaci fino al 70%. Serve che l’Europa superi nel concreto l’attuale legislazione, ormai obsoleta e superata dallo stesso studio della Commissione Ue di un anno fa secondo cui le nuove biotecnologie agrarie non hanno nulla a che vedere con gli Ogm. Il genome editing non presuppone, infatti, inserimento di Dna estraneo mediante geni provenienti da altre specie, ma opera internamente al Dna della pianta, che rimane immutato e assicura la continuità delle caratteristiche dei prodotti. Si perfeziona il corredo genetico delle piante in maniera simile a quanto avviene in natura, ma con maggior precisione e rapidità, costi minori e più adattabilità alle tipicità dei territori.

 

Da qui, il riconoscimento del ruolo chiave del vivaismo nella filiera vitivinicola, in quanto ne gestisce il patrimonio genetico e rappresenta il ponte ideale tra ricerca scientifica e aziende agricole. La spinta per la sostenibilità si traduce per i vivaisti del settore in razionalizzazione dei processi di produzione, forniture di materiali genetici adeguati e rispondenti a norme stringenti per la produzione e la commercializzazione dei moltiplicatori della vite. Di contro, però, mancano conoscenze solide su tecniche d’incrocio per nuove varietà resistenti e la selezione clonale può condurre a risultati solo nel medio-lungo periodo. Le tecniche di evoluzione assistita, invece, sono in grado di consentire, appunto, un miglioramento genetico più veloce, preciso e naturale.

 

“L’Europa deve dare un valore alla transizione ecologica che sia tangibile per le imprese agricole affinché non la subiscano e fare del genome editing uno degli asset principali del progresso da realizzare -ha detto il presidente nazionale di Cia Dino Scanavino-. Ci aspettiamo molto, quindi, dalla nuova analisi d’impatto Ue sulle nuove tecniche genomiche come dalla consultazione pubblica del secondo trimestre 2022 per avere una proposta di legge a inizio del prossimo anno. È già tardi e i vigneti, come l’intera agricoltura, hanno stagioni che non possono aspettare”.

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