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Ucraina: se perde alla Russia il 29% del grano mondiale
di Roberta Mannino

grano duro

Se l’invasione dell’Ucraina avrà successo la Russia controllerà circa il 29% delle esportazioni mondiali di grano tenero per la panificazione, il 19% del commercio del mais destinato all’alimentazione degli animali negli allevamenti e circa l’80% dell’olio di girasole impiegato per  la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili da parte dell’industria alimentare, oltre che per le fritture. E’ l’allarme lanciato dalla Coldiretti sugli effetti della guerra che oltre a insopportabili conseguenze sul piano umanitario provoca sconvolgimenti sui mercati agroalimentari che rischiano di alimentare inflazione e povertà nei paesi piu ricchi ma anche gravi carestie e rivolte nei paesi meno sviluppati.

 

Una possibilità concreta che ha contribuito a far impennare le quotazioni sul mercato future di Chicago con il prezzo del grano che è balzato mettendo a segno un aumento del 40,6% in una settimana per un valore ai massimi da 14 anni di 12,09 dollari per bushel (27,2 chili) che non si raggiungeva dal 2008 ma su valori al top del decennio si collocano anche le quotazioni di mais mentre la soia sale del 5% nella settimana, secondo l’analisi della Coldiretti alla chiusura settimanale del Chicago Board of Trade, punto di riferimento per le materie prime agricole.

 

Si tratta infatti di livelli – spiega la Coldiretti – raggiunti solo negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina.

 

Una emergenza mondiale che riguarda pero’ direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti. L’aumento di mais e soia sta mettendo in ginocchio gli allevatori italiani che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l’alimentazione del bestiame (+40%) e dell’energia (+70%) a fronte di compensi fermi su valori insostenibili. Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse, – sottolinea Coldiretti – ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori.

L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, approfittando dei bassi prezzi degli ultimi decenni, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti.

“Un errore imperdonabile che è possibile recuperare” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “ci sono le condizioni produttive, le tecnologie e le risorse umane per raggiungere in Italia l’autosufficienza alimentare”. Produrre cibo e non dipendere dall’estero – continua Prandini – è un tema strategico di sicurezza nazionale e lo hanno capito grandi Paesi come la Francia di Macron che ha annunciato un piano per la sovranità alimentare   o la Cina che ha inserito il settore agricolo nelle linee di investimento programmatico dello Stato insieme all`industria meccanica e all`intelligenza artificiale”.

 

Per questo oggi in Italia bisogna agire subito – continua Prandini – facendo di tutto per non far chiudere le aziende agricole e gli allevamenti sopravvissuti con lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr, ma anche incentivando le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole a 25 anni attraverso l’ Ismea e fermando le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali”. E poi investire – conclude Prandini – per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica e le NBT a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici.

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