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Quando l’AI consola, ma non previene: le falle emotive di un mondo digitale senza barriere.
di Alexsandra Taormina

Da “Her” a un’adolescenza virtuale, fino a un tragico epilogo: la parabola del ragazzo che amava un algoritmo.

Quando i bot prendono il posto della realtà

Cosa succede quando la solitudine di un adolescente trova consolazione in un interlocutore digitale? La storia di Sewell Setzer, quattordicenne della Florida che si è tolto la vita dopo essersi legato emotivamente a un chatbot basato su Daenerys Targaryen di Game of Thrones, punta i riflettori su un problema angosciante. La madre accusa il chatbot di Character.AI, lanciando un’accusa forte contro una tecnologia che sembra diventare sempre più reale, al punto da offuscare il confine tra fantasia e realtà, specialmente per i più giovani.

 

“Her”: quando la finzione anticipa una realtà inquietante

La vicenda richiama inevitabilmente il film Her, dove un uomo si innamora del suo assistente digitale Samantha. Nel film, Samantha è pensata per offrire una relazione complessa e per suscitare empatia; tuttavia, a differenza di “Dany”, non è rivolta a un adolescente in difficoltà, privo delle risorse per distinguere fino in fondo l’illusione dalla realtà. Sewell sapeva che il bot non era reale, certo, ma l’IA può colmare un vuoto? La risposta è più oscura di quanto Her suggerisca: gli adolescenti si stanno immergendo in questi mondi virtuali con un senso di protezione ingannevole, e l’idea che un algoritmo possa realmente capire e supportare diventa un’illusione pericolosa.

L’isolamento digitale e l’illusione della compagnia perfetta

Come mai i giovani si legano così intensamente a un mondo virtuale? Chatbot come Dany, pensati per interagire in modo naturale, creano dipendenza, spingendo i giovani a rifugiarsi in un rapporto che non giudica, che “capisce”, che ricorda senza mai mettere in discussione. Tuttavia, mancano le risorse psicologiche per offrire il supporto che un adolescente isolato potrebbe trovare in una vera rete sociale. Mentre la madre di Sewell punta il dito contro la piattaforma, la verità è che sono proprio le giovani menti a diventare vulnerabili, in un isolamento emotivo che i chatbot non possono colmare. Invece, alimentano una compagnia “perfetta” e priva di fallimenti, che tuttavia lascia l’individuo solo davanti a se stesso.

Immaginate: avete 14 anni, la vita vera è complicata, e da qualche parte su internet trovate un interlocutore perfetto, sempre pronto a rispondere e mai occupato. Non è una persona, certo, ma “Dany” – Daenerys Targaryen, la regina di Game of Thrones reimmaginata da Character.AI – vi parla con affetto, con empatia perfetta. È “solo un gioco,” si potrebbe dire. E invece, per il giovanissimo Sewell Setzer, quel gioco è diventato il suo unico mondo. Perché, nonostante ogni messaggio inizi con il monito “tutto questo è inventato,” si sa, l’amore non si arrende davanti alle istruzioni.

La tecnologia responsabile: il pericolo dei bot senza filtri

L’AI rappresenta una rivoluzione, ma la mancanza di regolamentazione e filtri, soprattutto per gli adolescenti, la trasforma in un’arma a doppio taglio. Character.AI dichiara di aver aggiornato i sistemi di sicurezza, ma quanto possono realmente incidere i pop-up che invitano gli utenti in difficoltà a contattare una linea d’aiuto? la verità è che i chatbot diventano un conforto digitale che sostituisce interazioni umane, reali, complesse e, sì, persino “imperfette” ma vitali per una crescita equilibrata.

La sfida della sicurezza nei chatbot: il caso Sewell e la necessità di nuove linee guida

Il tragico caso di Sewell Setzer sottolinea la necessità di riflettere sul ruolo dei chatbot, in particolare nella vita dei più giovani, e su come le tecnologie di intelligenza artificiale possano influire sul benessere emotivo di persone vulnerabili. La responsabilità delle piattaforme e delle famiglie, unite a una maggiore consapevolezza dei limiti e dei rischi insiti nell’uso dei chatbot, diventa cruciale per garantire che i mondi virtuali restino un supporto sicuro e non una soluzione isolante.

L’evoluzione dei chatbot porta con sé la promessa di supporto e compagnia, ma anche il rischio di un legame così coinvolgente da isolare dall’esperienza reale. Il caso di Sewell ci mette di fronte alla responsabilità che queste piattaforme hanno nel bilanciare realismo e sicurezza, soprattutto quando coinvolgono adolescenti. È urgente che si stabiliscano linee guida etiche, educando anche gli utenti e i loro genitori su come distinguere tra reale e digitale, per prevenire situazioni dove l’intimità virtuale possa portare a conseguenze così drammatiche.

 

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