(di Angela Sciortino) Oggi a Poggioreale, domenica 17, invece, si ripete al Dittaino, vicino l’Outlet Village. La prossima settimana, almeno a quanto si vocifera tra gli allevatori, una protesta analoga si svolgerà nel Ragusano. Stamattina, su un terreno limitrofo alla fondovalle Palermo-Sciacca, come previsto, un nutrito gruppo di allevatori ha versato tremila litri di latte. La protesta dei pastori siciliani, dunque, monta e cavalca l’onda lunga di quella dei colleghi sardi.
Pochi i punti di contatto tra Sicilia e Sardegna in tema di pastorizia. L’unica cosa che accomuna le due regioni sono i prezzi del latte a picco e i costi di produzione in continua ascesa e la presenza di troppo prodotto straniero, prevalentemente rumeno che inquina il mercato locale sia in termini di prezzo che di qualità.
Per il resto le due situazioni sono completamente diverse. A cominciare dai numeri. In Sicilia ci sono 800 mila pecore contro i tre milioni della Sardegna. E già questo dà indicazioni sul peso economico che la pastorizia rappresenta per la seconda maggiore isola italiana, soprattutto se si considerano anche le rispettive popolazioni: 1,6 milioni di abitanti per la regione sarda, 5 milioni in Sicilia. Ci sono da considerare tutte le questioni legate alle politiche produttive decise dal Consorzio di tutela e valorizzazione del Pecorino Romano, che com’è noto, viene prodotto con il latte delle pecore sarde. E poi il numero dei caseifici: 35 in Sardegna contro i 400 in Sicilia. Dove i 400 siciliani hanno dimensioni molto più contenute di quelli sardi. Più facile, dunque, visti i numeri contenuti, fare cartello per le industrie di trasformazione sarde. In Sicilia i caseifici, invece, piuttosto che fare cartello si fanno la guerra tra loro offrendo il prodotto a prezzi stracciati. Ma il risultato non cambia: a pagare sono sempre gli allevatori a cui il latte viene pagato a un prezzo che a stento copre i costi di produzione. E che può bastare solo se l’azienda zootecnica è di tipo familiare, perché, con questi lustri di luna, non c’è spazio per salari e contributi di operai esterni.
Sull’onda di quanto avviene da giorni in Sardegna, Domenico Bavetta, per tutti Mimmo, allevatore di Montevago tra i fondatori dell’Unione pastori siciliani (l’associazione nata qualche anno fa nel Trapanese che, dopo un esordio scoppiettante, è stata abbandonata al suo destino) ha usato i social per chiamare a raccolta i colleghi allevatori e farli partecipare alla protesta. Bavetta & c. con l’azione dimostrativa di oggi hanno cercato di fare capire che anche in Sicilia gli allevatori non se la passano bene. «Produrre un litro di latte di pecora ci costa circa 58 centesimi. Vuol sapere quanto ce lo pagano? Non più di 70 centesimi iva inclusa… a mala pena riusciamo a recuperare i costi di produzione», lamenta l’allevatore di Montevago. «Per non parlare poi degli agnelli – continua Bavetta – che ci costringono a svendere per via dell’ingresso incontrollato di prodotto straniero. Sotto Natale sono arrivati molti agnelli dalla Moldavia che i commercianti hanno acquistato a un euro al pezzo: in queste condizioni è impossibile competere».
Il dito degli allevatori è puntato anche contro gli ingressi incontrollati di prodotto straniero: sieri, cagliate, latte in polvere. Tutta roba prevalentemente prodotta in Romania a basso costo, che i caseifici usano per aumentare la produzione e riuscire a vincere la concorrenza locale sulla base del prezzo e non della qualità.
“Il malcontento che sta montando in queste ore in Sicilia era prevedibile, non ci sorprende. Sui nostri pastori ed allevatori gravano, oltre al prezzo basso a cui viene acquistato il loro latte altri problemi che finiscono col pesare ulteriormente sulle loro tasche”, si legge in una nota della Cia Sicilia Occidentale a proposito della protesta già scoppiata nelle ultime ore per le strade dell’Isola. «C’è tanto malumore, stanno nascendo numerosi comitati spontanei di protesta e in questa lotta dobbiamo essere tutti coinvolti – spiega il vice presidente Salvino Nasello, responsabile del gruppo zootecnia della Cia – c’è un divario non più sostenibile tra costi e ricavi, il prezzo del latte è ai minimi storici, 64-65 centesimi al litro. Colpa anche di una rete viaria da terzo mondo, che ci costringe a fare prezzi sempre più bassi per non far scappare gli acquirenti che devono affrontare un calvario per venire a prendersi il latte e il trasporto è a carico di chi compra. Oltre a queste enormi difficoltà, non ci sono più fondi per i nuovi bandi del Psr per le indennità compensative, un sostegno di vitale importanza per centinaia di aziende. Bandi riservati a chi come noi opera nelle zone svantaggiate e che dovrebbero avere una cadenza annuale, mentre l’ultimo risale al 2017».
«Ai pastori sardi va dato il merito di aver portato all’attenzione nazionale un problema che è comune alla maggior parte dei comparti produttivi come quello cerealicolo, olivicolo, agrumicolo ed ortofrutticolo», afferma il presidente della Confagricoltura siciliana, Ettore Pottino in merito alla dura presa di posizione dei colleghi della Sardegna. La situazione siciliana, pur nella sua diversità, presenta molti punti in comune con quella della Sardegna: prezzi in picchiata e offerta in costante eccedenza.
I costi, lo conferma Ismea, sono sistematicamente al di sopra dei prezzi alla produzione riconosciuti alla parte agricola, che sta operando in una situazione di deficit costi/ricavi. Tutto ciò – si legge nella nota di Confagricoltura Sicilia – dipende dagli effetti perversi della globalizzazione, dalla concorrenza di Paesi europei con significativo differenziale economico e dai rapporti all’interno della filiera.
Per il presidente Pottino la soluzione al problema va trovata all’interno della Pac post 2020 introducendo un premio a favore degli ovini nati ed allevati nei territori della comunità e che dispongono di idonee certificazioni sanitarie, un premio che sia congruo per compensare la differenza di prezzo della produzione nazionale rispetto a quella estera.