L’intelligenza artificiale continua a stupirci, ma il suo ultimo progresso potrebbe cambiare radicalmente il nostro rapporto con il digitale: secondo un recente studio condotto da Stanford e Google DeepMind, bastano due ore di intervista per creare una replica AI della personalità di un individuo. Un traguardo che lascia spazio a entusiastiche prospettive, ma anche a rilevanti preoccupazioni etiche.
Come si crea una “replica digitale”?
Alla base della tecnologia c’è il concetto di simulation agents, agenti simulati che riproducono i valori, le preferenze e persino le idiosincrasie di una persona. Il processo utilizza interviste qualitative per raccogliere informazioni uniche e personali che i modelli linguistici AI possono elaborare.
Un colloquio di due ore, che scava nei ricordi e nelle esperienze personali, può offrire un ritratto sorprendentemente accurato di una persona. Ad esempio, parlare di un evento significativo, come superare una grave malattia, fornisce un contesto emotivo e decisionale che i tradizionali questionari non riescono a catturare. Questo approccio rende possibile costruire una “twin digital” (gemello digitale) in modo rapido ed efficace.
Applicazioni pratiche e rivoluzionarie
I simulation agents hanno già trovato applicazione nella ricerca accademica e sociale. Per esempio, possono essere usati per studiare il comportamento umano in contesti difficili o costosi da riprodurre con soggetti reali, come l’impatto della disinformazione sui social media o le dinamiche alla base degli ingorghi stradali. Ma il loro potenziale va oltre: le aziende potrebbero sfruttarli per creare esperienze personalizzate per i clienti, simulare scenari futuri o addirittura progettare ambienti educativi avanzati.
Le ombre dietro la luce: rischi ed etica
Come ogni innovazione tecnologica, questa scoperta solleva interrogativi importanti. Se un’ AI può replicare la personalità umana, cosa impedisce di utilizzarla per scopi malevoli? La tecnologia potrebbe essere sfruttata per creare falsi digitali (deepfake) o per impersonare qualcuno senza il suo consenso, con gravi implicazioni per la privacy e la fiducia.
Anche le valutazioni usate per testare l’accuratezza di queste repliche mostrano limiti. Gli strumenti attuali, come il modello dei “Big Five” tratti della personalità, offrono solo una visione parziale di ciò che rende unico un essere umano. Inoltre, i test comportamentali, come il “dictator game” (che misura valori come l’equità), hanno evidenziato lacune nelle prestazioni degli agenti AI.
Cosa ci riserva il futuro?
Nonostante le criticità, le prospettive sono entusiasmanti. Le aziende che offrono gemelli digitali, come Tavus, stanno già sperimentando metodi basati su brevi interviste per costruire repliche personalizzate. Questo approccio non solo è più rapido, ma potrebbe diventare lo standard per creare modelli più sofisticati ed efficienti.
Inoltre, secondo esperti del MIT, come John Horton, questa tecnologia rappresenta una sintesi interessante tra reale e virtuale: utilizzando esseri umani per generare personalità autentiche, gli agenti simulati possono essere utilizzati in scenari dove sarebbe impossibile coinvolgere soggetti reali.
Un passo verso un futuro ibrido
L’idea di digitalizzare la nostra essenza umana è tanto affascinante quanto inquietante. La possibilità di replicare personalità potrebbe trasformare il nostro rapporto con il lavoro, l’educazione e persino le relazioni personali. Tuttavia, è fondamentale affrontare le sfide etiche con serietà, per evitare che questa potente tecnologia venga utilizzata senza il consenso o la consapevolezza delle persone.
Come useremo questa innovazione? Per migliorare la società o per creare nuovi rischi? La risposta dipenderà da come sapremo bilanciare opportunità e responsabilità in un mondo sempre più dominato dall’AI.