(di Angela Sciortino) L’arte dei muretti a secco che segnano gran parte dei panorami siciliani più caratteristici è stata inserita nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità in quanto i manufatti rappresentano “una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura”.
L’Italia che ha presentato la candidatura insieme a Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera, li ha un po’ dappertutto. Lungo la Penisola si contano ben 170 mila chilometri di muretti a secco, circa 20 volte la lunghezza della Grande Muraglia Cinese. In Sicilia sono bellissimi quelli del Ragusano che un tempo dividevano le proprietà e delimitavano le zone destinate al pascolo dove gli animali venivano spostati di volta in volta per evitare il calpestio e il pascolo eccessivo che rovinano la copertura vegetale. Altrettanto belli e utili quelli delle isole e in particolare quelli di Pantelleria che, oltre ad essere elemento del paesaggio, costituiscono la necessaria protezione dal vento delle piante coltivate.
La costruzione dei muretti a secco è davvero un arte. Non è facile, infatti, ammassare le pietre una sull’altra senza usare alcun altro elemento tranne, a volte, terra a secco e ottenere manufatti che sfidano il tempo, le intemperie e perfino i terremoti. La tecnica costruttiva è talmente raffinata che con i muri a secco non solo sono stati realizzati i terrazzamenti delle zone scoscese cosicché certe terre difficili potessero essere destinate a colture di pregio (si pensi alla vite sull’Etna o ai limoni della costa ionica), ma anche le abitazioni dei contadini e i locali destinati alla trasformazione dei prodotti agricoli come i frantoi e i palmenti.
E non solo. Le strutture a secco che sono sempre costruite in perfetta armonia con l’ambiente svolgono anche – spiega l’Unesco -“un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”.
La messa sotto tutela dell’Unesco dei muretti a secco potrà forse salvarli dall’oblio e dalla scomparsa. Non sono più tanto numerosi gli operai specializzati capaci di costruirli e se ne costruiscono o ricostruiscono sempre di meno perché nella meccanizzazione dell’agricoltura rappresentano un’ostacolo. Questi manufatti fanno parte del paesaggio di molte parti d’Italia e per questo sono già sotto tutela per legge sia per il valore artistico e paesaggistico, ma anche per quello ambientale. E non sono sono state poche le denunce contro chi li smantella per riutilizzare le pietre.
Per Pantelleria che insieme ad altre zone d’Italia ha spinto per la candidatura dei muretti a secco a patrimonio dell’Umanità, si tratta di un riconoscimento di cui gli abitanti dell’Isola del vento possono andar fieri. Anche perché sempre tipico di Pantelleria è il sistema della vitead alberello che è già stato riconosciuto patrimonio Unesco qualche anno fa.
A Pantelleria ci sono 12 mila km di muretti a secco che attraversano l’isola, configurandosi nell’immaginario collettivo come un elemento ‘naturale’ del paesaggio pantesco nonostante, a tutti gli effetti, siano un prodotto artificiale dell’uomo. L’intensità dei venti e l’irrilevanza delle precipitazioni, infatti, hanno obbligato nei secoli il contadino pantesco a ottimizzare le risorse a sua disposizione. Da qui le vere e proprie invenzioni come la caratteristica abitazione dell’isola, il dammuso, o il giardino pantesco, ma soprattutto l’adozione del sistema dei muretti a secco, che ha una duplice valenza: da un lato, quella di proteggere le piante dal vento, e dall’altro di favorire la preservazione dell’umidità dei terreni che delimitano.
«Per Pantelleria – ha dichiarato Benedetto Renda, presidente del Consorzio Volontario per la Tutela e la Valorizzazione dei Vini a Doc dell’Isola di Pantelleria – ospitare ben due patrimoni Unesco rappresenta qualcosa di straordinario, probabilmente di unico in tutto il panorama italiano. Basti pensare che, dei nove beni italiani riconosciuti dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità, due sono i simboli della nostra isola, uniti tra loro da un legame inscindibile. A Pantelleria, infatti, dove non c’è muretto non c’è vite, una tradizione per la cui tutela è stato fondamentale l’impegno costante di tutte le aziende aderenti al Consorzio, ma che per poter proseguire ancora a lungo dovrà tutelare con ancor maggiore attenzione anche il suo antico autore, quel contadino pantesco il cui spirito e conoscenze hanno bisogno di rinnovarsi nelle nuove generazioni per non rischiare di scomparire».
«Ancora una volta i valori dell’agricoltura – ha commentato il ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio – sono riconosciuti come parte integrante del patrimonio culturale dei popoli Il nostro Paese si fonda sull’identità. I nostri prodotti agroalimentari, i nostri paesaggi, le nostre tradizioni e il nostro saper fare sono elementi caratterizzanti della nostra storia e della nostra cultura. Non è un caso quindi che, dei nove elementi italiani riconosciuti dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità, ben quattro appartengano al patrimonio rurale e agroalimentare. Un risultato che conferma l’importanza di questo comparto nel nostro Paese e quanto sia fondamentale, come Governo e come cittadini, non dimenticare mai le nostre radici. Ecco perché è necessario continuare a investire nella promozione e nella valorizzazione, anche a livello internazionale, delle nostre produzioni agroalimentari e dei nostri territori».