(di Anna Venturini) Ho vissuto molti anni in centro America e il guacamole, deliziosa salsa composta da avocado, cipolla, pomodoro e peperoncino, è uno dei miei piatti preferiti. Ora che sono tornata in Italia mi accorgo come sia diventata di gran moda anche qui, dove l’avocado non si può dire sia un frutto autoctono. Come al solito la nostra smania di avere tutto, subito e ovunque senza preoccuparci degli “effetti collaterali” delle nostre scelte, ci fa seguire l’onda del “fa bene” dell’ennesimo super food.
Cosa succede, intanto, dove gli avocado si coltivano da sempre e improvvisamente aumenta in maniera ingestibile la richiesta? Semplice, quello che è già accaduto per le banane e per le palme da olio. Le colture tradizionali spariscono, le varietà antiche vengono sostituite da ibridi più produttivi e da Ogm che rispettino le “necessità” di misura uniforme, maturazione ritardata e buccia resistente ai trasporti transatlantici. Noi mettiamo fettine di avocado nel panino, nelle insalate, nei succhi energetici e nel sushi, perché l’avocado è duttile, è buono e fa bene. Ma in Messico stanno eliminando foreste di pini secolari della regione del Michoacán per impiantare il più redditizio avocado: la produzione infatti è triplicata e le piantagioni hanno sostituito la foresta al ritmo di settecento ettari all’anno e, di conseguenza, hanno causato impoverimento delle falde idriche e carenza d’acqua per le popolazioni locali, che hanno visto deviare i corsi dei ruscelli verso le coltivazioni, e, come sempre, hanno impiegato maggiori quantità di pesticidi per accelerare la produzione. Identico copione nella regione di Petorca in Cile, dove gli abitanti della provincia devono affrontare quotidianamente una carenza di acqua oramai insostenibile, dovuta alla “siccità” indotta dalle piantagioni di avocado.
Come per le banane, gli avocado vengono raccolti più di un mese prima della giusta maturazione perché devono percorrere quindicimila chilometri prima di raggiungere le nostre tavole, sono trasportati in celle frigorifere a quattro gradi di temperatura e, una volta raggiunta l’Europa, conservati per una settimana circa in celle riscaldate e spesso irrorate con etilene per accelerarne artificialmente la maturazione.
La soluzione a questo problema etico ed ecologico, in Sicilia sembra a portata di mano: si coltivano infatti gli avocado sulle pendici dell’Etna. Approfondendo un poco l’argomento, emerge una realtà interessante: pare che la richiesta di avocado nazionale stia aumentando e si abbandonino le coltivazioni tradizionali per sostituirle con il più redditizio frutto esotico. Si tratta di un percorso che dobbiamo assolutamente invertire, perlomeno affiancando la coltivazione della nuova varietà a quelle antiche. Le zone interessate dal fenomeno di abbandono delle antiche colture sono proprio quelle delle pendici dell’Etna e la varietà antica “dimenticata” è quella delle mele, in particolare delle varietà Cola e Gelato Cola. Si tratta di due varietà rustiche autoctone che presentano, oltre ad una buona adattabilità, la caratteristica di resistere alle due principali aggressioni nocive, la ticchiolatura e il verme della mele (Carpocapsa). Non richiedono, quindi, i trattamenti con fitofarmaci che vengono normalmente somministrati alle varietà selezionate.
Il patrimonio delle varietà antiche di melo che crescono sulle pendici dell’Etna è ricchissimo e, oltre alle Cola e Gelato Cola, relativamente abbondanti, ci sono moltissime cultivar locali che non vanno dimenticate e meritano attenzione e soprattutto conservazione, perché non si perdano. È il caso delle varietà Maladeci, Lappiona, Testa di Re, Regina, Rotolo, Cardillo , Granadina e Zuccareddi, oramai molto difficili da reperire.
Slow Food sostiene e protegge da anni la conservazione delle varietà antiche dell’Etna, ricordando che fino agli anni settanta esistevano una ventina di varietà di mele. Con il sostegno del Parco Naturale dell’Etna le “meline” – così vengono chiamate dai produttori – sono diventate presidio dell’associazione, che ha messo insieme alcuni dei custodi di queste antiche mele al fine di recuperare un panorama varietale storico del Parco dell’Etna, restituire dignità ai piccoli agricoltori ancora oggi motivati e consapevoli dell’importanza di mantenere il patrimonio vegetale storico della montagna.
A proposito del rischio che le nuove mode alimentari, come quella dell’avocado, minaccino in qualche modo le varietà storiche, Alberto Continella, ricercatore di arboricoltura generale e coltivazioni arboree al Dipartimento di Agricoltura dell’Università di Catania, osserva che «l’avocado esiste sull’Etna dagli anni Cinquanta, e questo perché grazie alla differenza altimetrica, abbiamo la possibilità di trovare dalle piante subtropicali come l’avocado fino alle piante tipiche continentali che sono il melo e il pero, passando per gli agrumi e altre colture». Il rischio che le varietà di mango e avocado prendano poco a poco il posto delle colture storiche evidentemente esiste, ma si può facilmente contrastare sia con la creazione di consorzi che supportino i piccoli produttori di varietà antiche, sia incentivando le nuove produzioni, sostenendole come una risorsa importante. Rispettando l’ambiente e agendo sul recupero dei terreni fertili inutilizzati, coltivando in maniera responsabile nei confronti del territorio e della comunità, le coltivazioni di frutta subtropicale – che ben si ambienta al clima siciliano – possono rivelarsi una fonte potenziale di occupazione e al tempo stesso di protezione del territorio, spesso abbandonato e tenuto incolto. Stanno aumentando infatti i giovani agricoltori che si dedicano alla coltivazione di frutta tropicale in Sicilia, dalle banane all’avocado al mango. L’offerta naturalmente è limitata, e così deve essere per mantenere alta la qualità e attiva l’attenzione alla filiera di produzione, che si differenzia notevolmente da quella dei prodotti importati perché rispetta la stagionalità e la territorialità. Come ogni frutto della terra, anche quelli di origine tropicale rispettano le stagioni e, grazie alle produzioni locali, raggiungono le nostre tavole in un tempo ragionevole, senza bisogno di trasporti intercontinentali, prodotti chimici per la conservazione e sfruttamento indiscriminato del territorio e delle persone che contribuiscono alla loro produzione. Scegliere sempre i prodotti “vicini” a noi ci garantisce bontà e giustizia.