(di Angela Sciortino) Si baserà sull’agricoltura umanistica tanto cara all’agronomo Guido Bissanti l’exit strategy alla crisi degli agricoltori siciliani, puntando sulla promozione e salvaguardia delle produzione locali, sulla biodiversità e sulla gestione etica della terra? «Difficile, soprattutto nel breve periodo, ma perché non provarci?», si è chiesto proprio Bissanti qualche giorno al confronto che il Gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle all’Ars ha organizzato a Palazzo dei Normanni nella sala dell’Ars intitolata a Piersanti Mattarella.
Sulla direttrice dell’agricoltura umanistica si muove appunto l’idea del futuro modello agricolo per la Sicilia elaborato dai pentastellati siciliani. «Il modello agricolo contemporaneo basato sul consumo energetico e sulla produzione di gas serra, incide negativamente sulla biodiversità e sulla salute, anche a causa di fattori legati alla commercializzazione dei prodotti, con merci, che arrivando da lontano, perdono le qualità organolettiche e nutrizionali, una concorrenza in molti casi sleale, che impoverisce gli agricoltori che derivano il loro reddito dal lavoro nei campi», ha osservato Valentina Palmeri, deputata regionale e vice presidente della commissione Attività produttive dell’Ars.
Questo modello agricolo ha prodotto un vero e proprio paradosso: la Sicilia è prima in Italia per estensione e propensione alla coltivazione con metodi ecosostenibili, è prima pure per numero di aziende bio (sono 9.660 gli operatori biologici, seguono Calabria con 8.787 e Puglia con 6.599), ma occupa l’ultimo posto in Italia per consumi di prodotti agroalimentari bio.
Per i Cinquestelle «in Sicilia un nuovo modello agricolo è possibile» e per questo «occorre ripartire innanzitutto da una riforma del settore e da un Piano rurale siciliano, per reindirizzare la produzione agricola verso tecniche ecosostenibili capaci di salvaguardare la biodiversità, promuovendo le produzioni tipiche e autoctone, supportando le aziende a conduzione familiare, dotando l’Isola di collegamenti stradali adeguati per il trasporto delle merci, e investire “sapientemente” le risorse comunitarie del Psr che finora ha privilegiato solo le aziende di maggiori dimensioni, lasciando, di fatto, soli le imprese familiari di minori dimensioni».
«Per rilanciare la nostra agricoltura – ha osservato la deputata regionale del M5S Angela Foti – bisogna pensare anche ad un piano regionale per il cibo che tenga conto della chiusura delle filiere con la trasformazione dei prodotti agricoli e favorisca l’utilizzo di prodotti locali e biologici nelle mense pubbliche. A questo bisogna aggiungere azioni capaci di accrescere la consapevolezza dei consumatori e un’azione sulla grande distribuzione, obbligandola a individuare spazi dedicati alle produzioni locali».
Rimane comunque il nodo degli elevati costi di produzione, a partire da quelli energetici e del lavoro, che oggi collocano fuori mercato i prodotti dell’Isola rispetto ai Paesi emergenti. Per questo i 5Stelle propongono interventi capaci di ridurli. Non è ben chiaro come, soprattutto in relazione ai vincoli imposti dalla Ue circa gli aiuti di Stato. Evidentemente il Trattato di Roma non li impensierisce e nemmeno il fatto che, come ha ammesso lo stesso eurodeputato Ignazio Corrao, il Parlamento Europeo ha spazi di manovra risicatissimi: nella Ue decide il Consiglio e la Commissione.
E pure gli interventi sulle banche che i 5stelle ritengono necessari – e in cui tanti altri senza grande successo si sono già cimentati – possono essere paragonati a una passeggiata di salute. Non è sufficiente avere constatato che l’accesso al credito per gli investimenti in agricoltura per le aziende siciliane è assai limitato ed è pari ad appena un sesto a quello delle imprese del Nord. L’esperienza del Psr che si è chiuso e di quello ancora vigente ha fatto emergere la dura realtà: per gli agricoltori siciliani in crisi di liquidità è difficilissimo compartecipare alle risorse già risicate del Psr e fare gli investimenti.
La ricetta diventa in sintesi semplice: occorre puntare al mercato locale, così si risparmia sul costo dei trasporti e poi sui prodotti di qualità legati al territorio e irripetibili altrove, su quelle eccellenze alimentari, insomma, che, supportate da adeguate politiche di marketing possano essere valorizzate commercialmente sui mercati ricchi sia nazionali che esteri.