Privacy Policy
Home / Agricoltura / La manna delle Madonie in cerca della denominazione di origine protetta

La manna delle Madonie in cerca della denominazione di origine protetta
di Angela Sciortino

(di Antonino Cicero) Per la manna della Madonie si prospetta la Dop, la denominazione di origine protetta. È quanto sta chiedendo “Manna madonita”, il consorzio costituito alla fine del 2015 e che mette dentro quattro cooperative (La 50, Oasi, Nuova Alba, Il Girasole) e circa 35 giovani. È la prima ipotesi compiuta di rete tra produttori nel territorio d’elezione, nel pezzo di Sicilia compreso tra Castelbuono e Pollina.

I giovani produttori, intanto selezionati dall’Assessorato regionale delle Attività produttive per volare al Salone internazionale di Shanghai, al fine di creare maggiore appeal sul mercato e intercettare canali e fasce medio-alte di vendita per la manna delle Madonie, sono impegnati, oltre che nella richiesta della Dop, a fare il loro ingresso in Slow Food come consorzio (unico in Italia, in caso di esito positivo) e a ottenere la certificazione di produzione biologica, «in attesa della quale – sottolinea Mario Alessi, vicepresidente del consorzio – la fornitura a Eataly è al momento sospesa».

Il consorzio è nato in funzione di un progetto finanziato da Fondazione con il Sud, per un totale di circa un milione e 300 mila euro – il primo sulla manna arrivato nel territorio – all’interno di un pacchetto di ben cinque milioni, fatto piovere su Castelbuono per il terzo settore.

«Il progetto è stato presentato nel febbraio 2016 – ricorda Alessi – e ha una durata di tre anni; tra gli obiettivi principali c’è quello di ripristinare circa 60 ettari di frassineti in abbandono alla fine del primo anno e di giungere – continua Alessi – ad averne circa un centinaio alla fine del triennio».

Al momento, dopo un anno e mezzo dall’avvio del progetto, gli ettari ripristinati – ottenuti in affitto o in comodato d’uso ventennale – sono circa 40 non ancora produttivi «perché – aggiunge Alessi – le attuali operazioni di ripristino porteranno a parlare di produzione tra circa cinque anni».

La resina azzurrina che diventa biancastra al contatto con il sole, tra cannoli (le “stalattiti” che colano dalla corteccia incisa e che costituiscono la manna più pregiata) e quantità meno pure, rende ancora sul mercato. Al consumatore, per i cannoli, vengono chiesti circa 200-300 euro al chilo.

Ma sulla richiesta della Dop, il cui iter – dopo un primo parere favorevole di Bruxelles, propedeutico all’avvio – è ancora solo alle prime fasi, non tutti sono d’accordo. Tra questi Giulio Gelardi, tra i più importanti produttori e formatori in attività, tanto da essere stato iscritto nel Reil, il Registro delle eredità immateriali di interesse locale. «Sul punto – precisa – la mia posizione è stata sempre chiara». E aggiunge: «Ritengo sia superfluo e inutile chiederla perché – ricorda – c’è già, nel senso che una legge del 1928 dice a cosa sia riservato il nome “manna” che possa, come tale, commercializzarsi: è un provvedimento già di molto superiore a una dop». Per Gelardi andrebbe pure bene la richiesta «se servisse ad attirare l’attenzione e a fare pubblicità; ma per il resto no». Il vero problema «è che la produzione è talmente scarsa – sottolinea Gelardi – che si rischia di fare la dop su un cadavere. L’alternativa è semplicemente produrre manna».

Dei 40 ettari in fase di ripristino, sono solo 7-8 quelli del consorzio che attualmente producono perché già attivi in passato, trattandosi di quelli conferiti da alcuni frassinicoltori come Mario Cicero o Giuseppe Cassataro. «In totale – dice Alessi – la produzione, nel 2016, è stata di circa 500 chili tra cannoli e manna meno pregiata», a fronte dei 250-300 chili annui di Gelardi con il suo mezzo ettaro di frassineto, quando l’annata non è disastrosa. «Per i cannoli la produzione totale – abbozza Gelardi – non supera i cinque quintali, mentre la manna da purificare si aggira, per il totale di tutti i produttori attivi, attorno ai 20 quintali all’anno». Pur ricordando che «non si sa con precisione quanto sia la produzione di manna per ettaro».

Sul “caso” Dop, per Gelardi, non ci sono insomma le basi, «anche perché la manna, già protetta per legge, non può essere il prodotto fatto in altri posti, con altre piante: ce l’abbiamo solo noi – continua – e la sappiamo estrarre solo noi, a differenza, ad esempio, del grana o del parmigiano reggiano. Perché – conclude – replicare qualcosa quando già c’è qualcosa di più importante della semplice Dop che sottolinea ancora di più la specificità di questo prodotto?»

Dal canto loro, i produttori del consorzio non considerano affatto la richiesta della Dop un doppione inutile e in ogni caso, secondo Alessi, questa richiesta creerebbe valore aggiunto al prodotto. «Bisogna rispondere – chiosa Alessi – anche alle esigenze di mercato, per cui un prodotto con un marchio può essere piazzato a un prezzo maggiore».

© Riproduzione Riservata

Sviluppato, Gestito ed ottimizzato da Coffice s.r.l.