(di Angela Sciortino) Non solo Strazzavisazza, Maiorca e Timilìa insieme alla sua versione dialettale Tumminìa. Nel database dell’Ufficio Marchio e Brevetti ci sono tanti altri marchi in cui da soli, o insieme ad altre parole, sono indicate le denominazioni di alcuni grani antichi siciliani tornati tanto di moda in pizzerie a la page e ristoranti stellati.
I tre (o meglio quattro) marchi sono quelli che nelle scorse settimane hanno spopolato sui social per una rovente polemica sull’uso di queste dizioni rivendicata in esclusiva da una società con sede a Verona. É bastato qualche giorno di feroci critiche perché la società veronese (ma un tempo siciliana) Terra e Tradizioni dichiarasse di non avere più nessuna intenzione di imporre royalties o altri limiti ai produttori siciliani e di volere cedere ad un prezzo simbolico i marchi in suo possesso alla Stazione di Granicoltura di Caltagirone. Tutto risolto, dunque? Macchè. La vicenda non è chiusa: non è certo, infatti, l’esito della richiesta dell’Assessorato Agricoltura che è corso ai ripari chiedendo al Ministero dello Sviluppo Economico la revoca della registrazione. Il motivo? Semplice, la normativa lascia ampi spazi di manovra alle imprese o ai singoli soggetti di registrare nomi e diciture che possono anche definire prodotti di larga diffusione e indicazioni territoriali. Tant’è vero che perfino il termine Sicilia è inserito in una gran varietà di marchi registrati.
E chi è convinto che siano solo imprese “del Continente” a pensare di “difendere motu proprio” le peculiarità dell’Isola, è caduto in errore. Basta dedicare un po’ di tempo sul portale e scoprire per esempio che ci sono “bidì di sicilia bio” e “selezione Russello” registrati da Mulini Riggi di Caltanissetta e un “perciasacchi di sicilia bio” in lavorazione sempre su richiesta dei mulini nisseni. Ma c’è pure “Perciasacchi” registrato da Be Good sas di Palermo e alcuni marchi per pasta e pane in cui è inserito il termine timilia registrati da Mulini del Ponte di Castelevetrano, così come lo stesso Filippo Ignazio Drago ha in lavorazione una richiesta per “nero di tumminia”.
Il comparto dei grani antichi, protagonista negli ultimi tempi di uno sviluppo tumultuoso e inaspettato, pur rappresentando una scelta vincente per agricoltori stanchi di continui deprezzamenti del grano duro a causa della agguerrita concorrenza dei grani esteri (canadese e ucraino), necessita però di una iniezione di trasparenza che aiuti gli agricoltori ad uscire da una specie di clandestinità. Attualmente solo Giuseppe Li Rosi, cofondatore dell’Associazione “Simenza” può riprodurre seme da fornire ad altri cerealicoltori per coltivare grani antichi di tre varietà, la timilia a reste nere, la maiorca e la strazzavisazzi (perciasacchi). Presto sarà affiancato da altri ventidue agricoltori che, superata favorevolmente l’istruttoria della Commissione insediata presso l’Assessorato regionale Agricoltura, attendono l’ok del ministero e saranno iscritti per le varietà Romano, Regina, Capeiti, Tripolino, Tumminia Reste Bianche e Maiorca. Si aggiungono poi 6 Perciasacchi, 2 Bidì, 4 Russello e 4 Tumminia Reste Nere.