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La Cassazione mette la canapa light fuorilegge. Produttori siciliani nell’incertezza
di Angela Sciortino

canapa

(di Luigi Noto) La Corte di Cassazione, con una recente sentenza a sezioni unite, ha di fatto messo uno stop alla cosiddetta canapa light. Il commercio delle infiorescenze di piante (le altre parti sono destinate all’industria tessile ed edile), rappresenta un interessante business per gli agricoltori, tant’è che proprio in Sicilia è nata una società controllata da un multinazionale canadese che ha puntato sulla produzione di estratti da destinare all’industria cosmetica e farmaceutica.

Impossibile, dunque, fino a quando non verrà fatta chiarezza sull’impianto normativo, mettere in commercio foglie, inflorescenze, olio, resina e tutti i derivati usati a scopo terapeutico a base di cannabis perché si ritiene che abbiano effetto drogante anche se le concentrazioni degli alcaloidi sono bassissime.

La sentenza emessa dalla Cassazione ha messo in allarme gli agricoltori siciliani che hanno deciso di investire in questo comparto scegliendo la canapa come coltura da rinnovo nei semintaivi. «Le varietà ammesse dalla legge 242/2016 – chiarisce Giovanni Selvaggi, presidente di Confagricoltura Catania non devono destare allarme, perché sono a basso contenuto di THC (la sostanza che produce l’effetto psicoattivo) con valori entro lo 0,2%. Riguardo all’effetto drogante la giurisprudenza si è ampiamente espressa negli ultimi anni escludendo dal campo di applicazione del Dpr 309/90 sugli stupefacenti, i prodotti della canapa industriale con valori di THC entro lo 0,5%».

Confagricoltura Catania canapa

Giovanni Selvaggi, presidente Confagricoltura Catania

Ancora non si conoscono le motivazioni della sentenza, ma secondo Confagricoltura Catania la decisione della Cassazione non deve essere letta come divieto generalizzato di vendita dei prodotti a base di canapa industriale. «In ogni caso – aggiunge Selvaggi –  il Parlamento, il Governo ed i Ministeri competenti dovranno intervenire al più presto per perfezionare la normativa, ad esempio regolamentando i prodotti nutraceutici e cosmetici a base di cannabinoidi quali il CBD e definendo i livelli massimi di THC ammessi per gli alimenti, che vanno stabiliti con un decreto del ministero della Salute che aspettiamo ormai da quasi due anni».

Di certo c’è che la sentenza ha introdotto ulteriori motivi di incertezza tra i produttori. Quelli siciliani, nella certezza che la loro produzione avrebbe avuto uno sbocco commerciale facile e sufficientemente remunerativo. La canapa industriale, infatti, nell’interezza della pianta (fusto foglie, semi, fiori), ha tutti i requisiti e le potenzialità per soddisfare le diverse domande dei nuovi mercati della bioeconomia (integratori alimentari, nutraceutici, biocosmesi, bioedilizia, bioplastiche, bioenergie). 

«Una filiera produttiva importante – conclude Selvaggi – non può essere smantellata per i vuoti normativi. Non è più accettabile che il settore della coltivazione e della trasformazione della canapa debba continuamente raffrontarsi con giudizi e sentenze che spesso rimettono in discussione l’intero apparato normativo del settore».

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Giovanni Gioia, delegato al Ceja canapa e lino

C’è da augurarsi che questa sentenza, che di fatto non aggiunge nulla alle disposizioni di legge, non alimenti una ingiustificata caccia alle streghe. A tal proposito Giovanni Gioia di Anga, l’associazione giovanile di Confagricoltura, produttore di olio di semi di canapa nel cuore della Sicilia e delegato al Ceja canapa e lino ricorda: «La filiera della canapa industriale è promossa dalla L.242/16, legge che definisce chiaramente l’estraneità delle varietà utilizzate dai nostri agricoltori dal campo di applicazione del Testo unico sugli stupefacenti Dpr 309/90».

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