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Il fenomeno dell’Hikikomori: molto più di una tendenza giapponese
“Stare in disparte.” Questo è il significato letterale di Hikikomori, termine giapponese che oggi identifica una condizione sempre più diffusa anche in Europa e negli Stati Uniti. Si tratta di adolescenti e giovani adulti che scelgono di isolarsi volontariamente dalla società, chiudendosi nelle loro stanze per mesi, talvolta per anni. Una scelta radicale, che oggi spesso è accompagnata da un elemento comune: i social media.
Negli ultimi anni, il legame tra Hikikomori e social è diventato sempre più evidente. Ma i social network sono davvero una causa di isolamento o rappresentano solo una conseguenza?
Social e isolamento: chi è il vero responsabile?
Se fino a qualche tempo fa l’Hikikomori sembrava un fenomeno legato esclusivamente alla cultura giapponese, oggi sappiamo che non è così. I dati parlano chiaro: in Italia, il numero di giovani che si isolano dal mondo esterno ha superato i 50.000. Un numero impressionante, triplicato dal 2019 a oggi.
Uno studio condotto dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) evidenzia che il 39,4% degli adolescenti non ha alcuna attività sociale al di fuori della scuola e il 18,7% di loro ha vissuto lunghi periodi senza uscire di casa. E qui entrano in gioco i social:
- I ragazzi isolati usano Internet per mantenere un minimo di contatto con il mondo esterno.
- I maschi tendono a rifugiarsi nei videogiochi online, le femmine usano i social per non sentirsi escluse.
- L’iperconnessione alimenta il distacco dalla realtà, riducendo progressivamente il bisogno di interazioni sociali “offline”.
Ma allora, i social sono il problema o la soluzione?
La narrazione più comune descrive i social come un “buco nero” che trascina i giovani lontano dalla realtà. Ma la verità è più complessa. L’isolamento non nasce dai social, ma da fattori psicologici e sociali ben più radicati:
- Pressione scolastica e sociale: aspettative troppo alte possono portare al ritiro totale.
- Cyberbullismo e ansia sociale: molti Hikikomori hanno subito esperienze di esclusione o bullismo.
- Rapporti familiari difficili: la mancanza di dialogo in casa è un fattore determinante.
Parliamoci chiaro, i social non creano l’Hikikomori, ma certo possono amplificare il fenomeno: offrono una fuga dalla realtà, un’alternativa alle relazioni faccia a faccia e una “comfort zone” da cui è difficile uscire. Con i social, diamo vita a realtà parallele in cui riusciamo a esprimerci senza molte remore e ancora di più con l’IA che concretizza qualsiasi nostra immagine in realtà, anche noi stessi (vedi Remini l’app che trasforma i selfie in ritratti professionali). Niente si lascia al caso.
L’illusione della connessione: Hikikomori e digitale
Nel mondo digitale, la solitudine è più subdola. Un Hikikomori può avere centinaia di “amici” online ma nessun rapporto reale.
- Può chattare per ore senza mai uscire dalla sua stanza.
- Può sentirsi parte di una community virtuale, mentre la sua vita sociale reale si spegne.
I social offrono l’illusione di una connessione, ma spesso non fanno altro che allontanare ancora di più dalla realtà.
Come intervenire?
L’Hikikomori è un fenomeno difficile da affrontare, soprattutto perché chi ne soffre raramente chiede aiuto. Ma ci sono alcune strategie che possono fare la differenza:
- Educazione digitale: insegnare ai giovani a usare i social in modo sano e consapevole
- Supporto psicologico: favorire il dialogo e offrire aiuto senza forzature.
- Promuovere attività offline: sport, hobby e interazioni sociali reali sono fondamentali.
La soluzione non è demonizzare i social, ma trovare un equilibrio tra vita digitale e reale. Internet non è il problema, ma il modo in cui lo usiamo può diventarlo.
Vivere (anche) offline
La sindrome degli hikikomori è il riflesso di una società che fatica a offrire spazi di espressione e appartenenza ai giovani. Dare la colpa ai social è la soluzione più semplice, ma anche la più pigra: non sono loro i cattivi della storia, purché usati con consapevolezza. I social accorciano le distanze, annullano barriere geografiche, linguistiche, psicologiche e culturali. Ci permettono di esplorare mondi, di accedere a conoscenze che un tempo sarebbero rimaste fuori dalla nostra portata.
Ma se è vero che il web ci avvicina, è altrettanto vero che la vita si gioca fuori dallo schermo. Non basta un like per sentire il calore di un abbraccio, né un DM per colmare il vuoto di una stanza silenziosa. Alla fine, l’unica connessione che conta davvero è quella che si costruisce nel mondo reale, con uno sguardo, una voce, una presenza.