La celiachia è una malattia autoimmune che provoca una reazione dell’organismo all’assunzione di glutine, ovvero un complesso proteico presente in molti cereali come orzo, frumento, farro, avena, kamut e segale.
Ma come mai questa patologia si è diffusa così tanto nell’ultimo periodo? Eppure anche in passato gli italiani erano grandi mangiatori di grano e cereali. Fino a pochi anni fa l’incidenza della celiachia era di un caso ogni mille/2mila persone, oggi si viaggia a ritmi di 1 ogni 100/150 persone.
Pane e cereali sono gli stessi che si mangiavano circa cinquant’anni fa?
Da qualche tempo, si ipotizza che l’aumento spropositato di casi di celiachia possa essere dovuta al frumento modificato geneticamente.
Il grano primitivo, quello consumato decenni fa, in particolare la varietà Monococco, oltre a contenere uno scarso quantitativo di glutine, è dotato di un perfetto equilibrio dei suoi componenti che in qualche modo impedisce alla tossicità del glutine di esplicare un’azione lesiva e pericolosa dei tessuti, come avviene quasi sempre nei prodotti della natura, privi di trasformazioni.
Fino agli anni ’60 il grano duro coltivato abitualmente in Italia era della varietà Cappelli, considerato il “padre” del grano duro. Definito “razza eletta“, si trattava di una varietà molto resistente e adatta ai terreni del meridione. Una pianta molto alta che raggiungeva il metro e ottanta centimetri, se non fosse che si piegava facilmente verso terra all’azione del vento e della pioggia con una bassa produttività.
Quindi, nel 1974 un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica in questa varietà di grano, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana. I raggi gamma possiedono una capacità battericida che li rende utili nella sterilizzazione delle confezioni alimentari e delle apparecchiature mediche.
Dopo la mutazione, il grano era diventato “nano”, mostrando differenze in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita. Questo nuovo tipo di grano fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia, ogni tipo di pane, dolci, pizze, alcuni salumi e capsule per farmaceutici.
La modificazione genetica ha apportato, però, cambiamenti nella struttura di una sostanza chiamata gliadina, proteina alla base del malassorbimento del glutine nei celiaci. E’ questo il motivo per cui ad oggi sono sempre più diffuse le reazioni avverse al frumento: malattia celiachia, reazioni allergiche, intolleranze, difficoltà digestive.
Il Professore Luciano Pecchiai, da molto tempo un punto di riferimento scientifico della Medicina Naturale, ex Primario patologo dell’ospedale dei bambini di Milano ha lanciato un importante appello: “È evidente la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario. Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine”.
E’ per questo motivo che è fondamentale il recupero dei grani antichi, varietà di frumento che, nel corso del tempo, non hanno mai subito modificazioni genetiche e selezioni da parte dell’uomo, rimanendo alla loro natura originaria.