L’Italia dispone di superfici che possono soddisfare quasi per intero il fabbisogno del nostro Paese. I 600 MILA ETTARI DI SEMINATIVI NON COLTIVATI NEL SUD potrebbero produrre grano duro per aumentare notevolmente il nostro grado di autoapprovvigionamento.
Nel sud Italia, Puglia, Basilicata e Sicilia in testa, il sole rende il grano duro al momento del raccolto perfettamente maturo, asciutto, quindi non in condizioni di sviluppare micotossine cancerogene e nocive all’alimentazione umana.
In Sicilia sono state studiate
le caratteristiche nutrizionali e la composizione molecolare proprie del frumento duro. Come evidenziato da recenti studi clinici e dai risultati di progetti di ricerca condotti nella nostra Regione, il grano duro e i suoi derivati (pane e pasta) svolgono un ruolo importante nella prevenzione primaria delle malattie croniche non-trasmissibili, dal cancro alle malattie cardio- e cerebro-vascolari, alle patologie neurodegenerative, al diabete di tipo II, alle malattie croniche respiratorie. Si aggiunga che stiamo assistendo ad un notevole incremento delle patologie “glutine-correlate” – malattia celiaca ed “ipersensibilità al glutine non celiaca” – con una conseguente crescente richiesta di assistenza sanitaria e di risorse economiche nel settore delle intolleranze-ipersensibilità alimentari.
In tal senso, il grano duro siciliano può essere a ragione considerato, insieme all’olio extravergine di oliva, un pilastro essenziale del modello alimentare Mediterraneo, un prodotto agroalimentare unico e ambivalente in termini sia di sicurezza alimentare che di prevenzione primaria.
Partendo da una analisi seria, andrebbe modificato il Regolamento CEE 1881/2006 (voluto fortemente dalle lobby) portando il parametro del DON a non oltre 500. In Canada questo parametro è di 1000, in Europa è di 1750 parti per miliardo. Riducendo il parametro delle micotossine consentite nella granella a non oltre 500, si andrebbe a ridurre le importazioni dall’estero anche in periodi di libera concorrenza.Importante altresì lavorare per un prezzo di produzione equo per gli agricoltori di almeno 50 centesimi chilo (un chilo di pane costa almeno 3 euro e quindi è una scusa strumentale considerare questo prezzo eccessivo). I costi di produzione del grano duro sono di 25 centesimi chilo.
In questi anni il prezzo del grano duro è stato di circa 20centesimi chilo (antieconomico produrre e quindi abbandono delle campagne). Il giusto prezzo è di almeno 50 centesimichilogrammo.
Gli Stati membri stanno ragionando sulla necessità diaggiornare la normativa vigente sulla presenza di DON negli alimenti. Sembra che il gruppo di esperti sui contaminanti nella catena alimentare dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) stia studiando i rischi per la sanità pubblica e animale connessi alla presenza di DON nei mangimi e negli alimenti. La Commissione europea avvierà un dibattito con le autorità competenti degli Stati membri per garantire un livello elevato di sanità animale e sanità pubblica relativamente alla presenza di DON nei mangimi e negli alimenti.
E’ urgente mettere in moto tutte le iniziative utili e rivedere con la massima urgenza e determinazione il REG UE 1881/2006 a difesa della salute dei consumatori italiani e della dignità dei nostri agricoltori.
In conclusione nella nostra regione, così come nel nostro paese è necessario, da un lato, sostenere percorsi virtuosi di sostegno alla cerealicoltura di eccellenza, anche attraverso la definizione di accordi di filiera che tutelino la salute del consumatore e le sue scelte (magari ipotizzando l’apposizione in etichetta dell’origine del grano duro utilizzato); e dall’altro,prevedere l’adozione di disciplinari di produzione (agricoltura di precisione) rivolti alla valorizzazione del potenziale salutistico dei prodotti cerealicoli.
Non dimentichiamolo, uno dei compiti dello Stato Italiano e dell’Europa è garantire cibo sano, sicuro e sufficiente ai suoi cittadini.