(di Angela Sciortino) Il carico di grano duro arrivato a Pozzallo dal Canada non è più sulla Vitosha, la nave battente bandiera maltese e affidata ad una compagnia di navigazione bulgara. Non esistevano valide ragioni per lasciarlo nelle stive e trattenere la nave in porto. Nessuna grave contaminazione visibile, insomma, né la presenza di pericolosi parassiti che non fossero già esistenti in Italia. Sulla base delle norme del commercio internazionale, quindi, è impossibile trattenere il prodotto, in quanto se ciò avvenisse si creerebbe un danno economico di cui risponderebbe l’amministrazione regionale.
«Ma sia chiaro – afferma l’Assessore per l’Agricoltura, Edy Bandiera – che l’attenzione rimane al massimo livello. Restiamo vigili, affinché il grano extraeuropeo non venga avviato al commercio se non conforme ai parametri chimico-fisici e batteriologici previsti dalle nostre normative e affinché non cambi casacca, trasformandosi in grano siciliano».
In attesa dei risultati delle analisi che verranno eseguite presso i laboratori del Servizio fitosanitario regionale e dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia (ente pubblico accreditato presso il Ministero della Salute) per verificare che micotossine e residui di agrofarmaci o altre sostanze chimiche eventualmente presenti siano al di sotto delle soglie consentite dalla normativa europea, le ottomila tonnellate di grano duro canadese si trovano già a destinazione, ovvero presso alcuni mulini dell’Isola. Chiuso nei silos, il grano è in attesa che martedì 5 marzo, gli operatori dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi verifichino che le modalità di stoccaggio e della successiva lavorazione siano in grado di garantire il consumatore sull’origine del prodotto.
Nessun “magheggio”, insomma, dovrebbe permettere a questa partita il cambio di casacca: canadese è, e canadese sarà fino al consumo finale. Nelle etichette della pasta fatta con questo grano dovrà essere descritta la sua provenienza come extra Ue, anche qualora venisse usato in miscela con semole di grano nostrano.
E se fosse utilizzato per farne pane, pratica del resto molto diffusa nella nostra regione? Niente da fare. Non sapremo mai se la farina usata per fare pagnotte e filoni è di grano duro nazionale o estero. Così come non è obbligatorio per i molini nazionali inserire nell’etichetta delle confezioni di farina poste in vendita, il paese di produzione del frumento macinato. Dovremmo, comunque, essere rassicurati dal fatto che per fare il pane non è tanto raccomandabile usare farina di grano duro dal contenuto proteico elevato e glutine molto tenace che sono le caratteristiche di molti grani di forza importati in Italia.
Per una totale trasparenza verso il consumatore e la tutela dei cerealicoltori italiani la norma sull’etichettatura dovrebbe evolversi ed estendersi anche a sfarinati, pane e prodotti da forno. Non è escluso che questo risultati arrivi presto. I consumatori europei, infatti, sollecitati da una call del Parlamento di Strasburgo, si sono recentemente espressi a favore di etichette più trasparenti circa l’origine delle materie prime. Con buona pace degli industriali sempre piuttosto restii a queste comunicazioni.