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Girls of Vinted, l’ennesima vergogna digitale: vendere una maglietta diventa materiale erotico su Telegram

“Il patriarcato digitale non conosce confini: la nuova preda sono le utenti di Vinted, vendute come merce di consumo nei bassifondi di Telegram.”

Vinted nasce come un’idea intelligente: vendere online vestiti usati, in nome della sostenibilità e del risparmio. Una piattaforma semplice e intuitiva, perfetta per svuotare armadi e concedersi qualche acquisto senza sensi di colpa. Tutto molto bello, fino a quando il maschilismo tossico, che sembra ormai parte del DNA della rete, non ci ha messo le mani sopra trasformandola nell’ennesima gogna digitale a sfondo sessuale.

Il meccanismo della vergogna: “Girls of Vinted” su Telegram

Basta un attimo. Una foto davanti allo specchio per mostrare una gonna che non indossi più o una camicia diventata troppo stretta. La pubblichi su Vinted per venderla, niente di più innocuo. Ma improvvisamente, la stessa foto compare altrove, senza il tuo consenso, in un oscuro gruppo Telegram. “Girls of Vinted” – è stato il teatro digitale di una vera e propria violazione di massa: foto rubate, commenti morbosi, volgari e richieste esplicite.

Si stima che oltre mille foto di donne, soprattutto italiane, siano state prese senza consenso da Vinted per finire in questo calderone virtuale di testosterone fuori controllo. I contenuti, condivisi e commentati da una platea prevalentemente maschile, hanno trasformato semplici immagini di vendita in materiale da chat erotiche e voyeuristiche, degne della peggiore pornografia digitale amatoriale.

Ma la perversione non si ferma al voyeurismo: in molti casi, gli utenti – fingendosi interessati all’acquisto – hanno contattato direttamente le venditrici per chiedere ulteriori foto, sempre più esplicite, sempre più insistenti. E se la risposta era negativa, i messaggi diventavano minacciosi, inquietanti, vere e proprie molestie digitali.

La facciata di “Sara”: chi è davvero dietro al canale?

La fantomatica amministratrice del gruppo si faceva chiamare “Sara”, 29 anni, di Milano. Ovviamente una maschera, dietro cui probabilmente si celava una struttura più articolata, con lo scopo evidente di monetizzare attraverso servizi sessuali a pagamento. Dai contenuti erotici venduti direttamente in chat privata (anche 14 euro a messaggio, pagabili in valuta interna a Telegram) fino a video e materiale personalizzato. La difesa dell’amministratrice davanti alle testate tedesche che hanno scoperto lo scandalo? “Era semplicemente pubblicità gratuita per le donne che vendono su Vinted”.

Gratuita? O forse si intende gratis come la violenza psicologica, l’invasione della privacy e la manipolazione del proprio corpo senza consenso? “Girls of Vinted” è stato chiuso da Telegram, ma l’oscena rete di predatori digitali è pronta a rigenerarsi altrove, magari cambiando semplicemente nome.

I numeri del fenomeno: la punta di un iceberg

L’inchiesta realizzata dai giornali tedeschi Ndr, Wdr e Süddeutsche Zeitung ha fatto emergere che le donne italiane coinvolte sono oltre un centinaio, ma il problema è ben più diffuso. Secondo l’Osservatorio Indifesa, il 38,5% delle donne italiane afferma di aver subito molestie sessuali online. Amnesty International aggiunge un dato ancora più agghiacciante: il 23% ha ricevuto vere e proprie intimidazioni. E l’Istat parla di più del 6% di donne vittime negli ultimi tre anni di molestie digitali. Cifre mostruose che dipingono una realtà virtuale sempre più pericolosa e violenta.

Eppure, denunciare non è facile. Solo il 12% delle vittime trova la forza di segnalare alle autorità gli episodi subiti. Paura, vergogna, sfiducia nelle istituzioni che spesso non riescono (o non vogliono?) intervenire con la giusta incisività.

La colpa è sempre della donna?

La questione centrale resta una: il corpo femminile online è ancora una merce. Postare una foto vestita, anche minimamente valorizzata, sembra dare automaticamente il diritto a chiunque di appropriarsene, abusarne e ridicolizzarla. È questa la perversa cultura maschile che continua a esistere indisturbata nelle chat e nelle stanze virtuali più squallide.

Le soluzioni? Poche e inefficaci. Limitare le informazioni personali, censurare i volti, evitare fotografie frontali per tutelarsi meglio. In pratica: cambiare il proprio comportamento perché là fuori ci sono uomini incapaci di rispettare le donne come esseri umani.

Una battaglia che non possiamo perdere

Questa vergognosa storia non è solo una questione di sicurezza online o privacy violata: è l’ennesima prova che il patriarcato digitale è vivo, vegeto e si rigenera in forme sempre nuove e inquietanti. È ora che le piattaforme, le autorità e soprattutto la società comincino a prendere sul serio questo problema. Basta colpevolizzare le donne che vogliono semplicemente vendere un vestito online, basta normalizzare molestie e umiliazioni. È tempo che la rete smetta di essere un parco giochi per misogini frustrati nascosti dietro un nickname.

 

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