Scontro tra Sicilia e Lombardia sui criteri del PSR. La Politica Agricola Comune al centro di uno scontro a distanza tra le Regioni, con la Lombardia che cerca di mettere le mani sui fondi europei per il settore oggi destinati alle regioni del Mezzogiorno e la Regione Siciliana che ribadisce in Conferenza Stato-Regioni, con l’assessore Toni Scilla e il dirigente Dario Cartabellotta, la necessità di mantenere gli attuali criteri per la ripartizione delle risorse.
Ad accendere la miccia, le dichiarazioni dell’Assessore regionale all’Agricoltura della Lombardia Fabio Rolfi durante la riunione dell’VIII Commissione consiliare: “Per la futura Programmazione agricola comunitaria – ha affermato – la Lombardia si sta battendo in conferenza Stato Regioni per modificare i criteri storici di riparto tra regioni, che attualmente penalizzano la Lombardia come molte altri territori. Gli attuali criteri si basano su regolamenti non più esistenti e concentrano il 50% delle risorse su cinque regioni del Mezzogiorno. In sede di Commissione Politiche agricole si registra una convergenza su nuovi criteri da parte di 14 regioni, trasversale sia per area geografica che per visione politica. Se vogliamo realizzare gli obiettivi imposti dal green deal europeo abbiamo necessità di avere le risorse adeguate”, ha dichiarato Rolfi.
In sintesi: rivedere la distribuzione dei fondi per mandarne di più al Nord (e di meno al Sud). Una posizione che non è affatto piaciuta in Sicilia. Tanto che la Regione Siciliana ha ufficializzato in Conferenza Stato-Regioni la propria contrarietà, riaffermando la bontà dei criteri storici utilizzati nel PSR 2014-2020, il Piano di Sviluppo Rurale, corroborata peraltro dalla contrarietà al Regolamento UE sulla Transazione del 16 dicembre 2020: “.. il presente regolamento prevede il proseguimento dell’applicazione delle norme di cui all’attuale quadro della PAC che copre il periodo 2014-2020 e la continuità dei pagamenti agli agricoltori e ad altri beneficiari, garantendo in tal modo prevedibilità e stabilità durante il periodo transitorio nel corso del 2021 e del 2022 (“periodo transitorio”) fino alla data di applicazione del nuovo quadro giuridico che copre il periodo che inizia il 1º gennaio 2023 (“nuovo quadro giuridico”)”, si legge, infatti, nella fonte normativa.
E ancora, sul concetto di proroga: “Gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di finanziare i loro programmi di sviluppo rurale prorogati dalla corrispondente dotazione di bilancio per gli anni 2021 e 2022. I programmi prorogati dovrebbero garantire che almeno la stessa quota complessiva di contributo del FEASR sia riservato alle misure di cui all’articolo 59, paragrafo 6, del regolamento (UE) n. 1305/2013, in linea con le nuove ambizioni stabilite nel Green Deal europeo”.
Rilievi che smontano, dunque, le motivazioni su cui si basano le rimostranze dell’assessore lombardo. Ma non basta. La Regione siciliana richiama anche la questione relativa alla distribuzione dei fondi del Recovery Fund a formazione delle risorse aggiuntive del Piano di Sviluppo Rurale, per sottolineare come la posizione espressa da Rolfi, se applicata in quella sede, avrebbe portato a una minore attribuzione di risorse all’Italia: “Per quantificare tale stanziamento sono stati utilizzati anche criteri di debolezza socio-economici – è la premessa – Infatti, per la ripartizione dei 750 miliardi di euro tra gli Stati membri l’Unione europea ha definito tre criteri: popolazione, reddito pro-capite e Tasso medio di disoccupazione negli ultimi 5 anni In base a questi criteri all’Italia sono stati attribuiti 209 miliardi di euro (la fetta più importante dell’ammontare totale). Se il criterio fosse stato soltanto quello della popolazione l’Italia avrebbe ricevuto soltanto 97,5 miliardi di euro. Tutto il resto (111.5 miliardi di euro) è stato attribuito all’Italia perché il Mezzogiorno ha un reddito pro-capite medio di 17 mila euro rispetto ai 33 del Centro-Nord, e un tasso di disoccupazione del 17% rispetto al 7,6% del Centro-Nord”.
Per tutte queste ragioni, la Regione siciliana, con la posizione espressa da Scilla e Cartabellotta, mette nero su bianco che, “Alla luce della normativa comunitaria vigente, il modello di riparto già utilizzato nella prima parte della corrente programmazione (2014/20) deve estendersi per il biennio aggiuntivo (2020/21). I nuovi criteri di riparto, che dovranno riguardare tutta la nuova PAC (primo e secondo pilastro) decorrerranno dal 2023 quando l’Unione Europea avrà approvato i nuovi regolamenti”, sono le conclusioni.