In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale può replicare volti, voci e intere personalità con inquietante precisione, la Danimarca si candida a fare da apripista in Europa con una proposta di legge senza precedenti: il riconoscimento del diritto d’autore sulla propria identità digitale.
Una normativa che, se approvata, cambierà radicalmente il modo in cui immaginiamo — e proteggiamo — la nostra presenza nel mondo digitale. Non si parla solo di privacy, ma di una vera e propria proprietà giuridica di sé stessi: volto, voce e movenze diventano una performance personale, tutelata per legge.
Una legge per tempi straordinari
Il disegno di legge danese è una risposta diretta all’esplosione dei deepfake, video e audio manipolati grazie all’intelligenza artificiale che ricreano volti e voci altrui con realismo disarmante. Nati come esperimenti creativi, oggi i deepfake sono spesso associati a disinformazione politica, cyberbullismo, truffe e pornografia non consensuale.
La proposta, presentata dal Ministro della Cultura Jakob Engel-Schmidt e attesa per l’autunno 2025, introduce un concetto nuovo nel contesto legale europeo: ogni cittadino, anche non artista, avrà il diritto di rivendicare la sua “espressione digitale” come se fosse un’opera protetta dal copyright.
Non si tratta solo di proibire i deepfake. La normativa prevede:
- Il diritto alla rimozione dei contenuti non autorizzati.
- Il risarcimento dei danni subiti.
- Sanzioni per le piattaforme che ospitano materiale illegale.
- Eccezioni solo per satira e parodia, per tutelare la libertà di espressione.
L’identità come proprietà digitale: un modello unico
Nessun altro Paese europeo ha mai spinto così oltre la tutela dell’identità digitale. L’AI Act dell’Unione Europea, approvato nel 2024, impone l’etichettatura dei contenuti generati da AI, ma non riconosce il diritto esclusivo alla propria immagine o voce. Allo stesso modo, legislazioni sparse in USA, Regno Unito e Corea del Sud affrontano il problema in modo frammentato e spesso solo in contesti specifici come l’ambito elettorale o pornografico.
La Danimarca, invece, propone un modello radicale e universale: trasformare voce, volto e presenza digitale in un bene giuridicamente difendibile — una vera e propria identità digitale tutelata per legge. Ed è proprio questo approccio ad attrarre l’attenzione del dibattito internazionale.
Una risposta concreta alla violenza digitale
Dietro la proposta danese c’è anche l’urgenza di contrastare un fenomeno in crescita: l’uso dei deepfake come strumenti di violenza di genere. Secondo i dati di Deeptrace Labs, oltre il 95% dei deepfake online riguarda contenuti sessualmente espliciti, e quasi sempre le vittime sono donne. Siamo di fronte a una nuova forma di revenge porn, ancor più insidiosa perché spesso realizzata senza che la vittima se ne accorga.
La nuova normativa non si limita all’ambito penale, come fa ad esempio la Direttiva UE 2024/1385 contro la violenza di genere, ma estende la tutela al campo civile, offrendo uno strumento in più per riappropriarsi della propria immagine. In questo senso, è anche una legge di empowerment digitale.
Ma quanto siamo davvero “online”?
Se da un lato la tecnologia AI può essere preziosa — e in certi casi persino salvavita, come dimostrano i recenti casi di cronaca risolti con Google Maps — dall’altro ci ricorda quanto sia sottile oggi il confine tra visibilità e vulnerabilità. Ogni foto caricata, ogni video girato, ogni nota vocale condivisa potrebbe un giorno essere riciclata, ricostruita, reinserita in un contesto che non ci appartiene.
La Danimarca non si limita a reagire: anticipa. In un’epoca in cui anche una manciata di pixel può diventare un’arma, Copenhagen alza l’asticella della protezione digitale, puntando tutto su consenso, controllo e responsabilità.
Verso una nuova cultura dell’identità digitale
È presto per dire se questa legge sarà replicata su scala europea, ma il messaggio è chiaro: nel futuro prossimo, proteggere la propria immagine sarà importante quanto proteggere il proprio codice fiscale.
La posta in gioco non è solo la sicurezza dei dati, ma la percezione stessa di ciò che significa essere “noi stessi” online. Se la proposta danese diventerà realtà, segnerà un momento di svolta per tutto l’Occidente: l’inizio di una cultura della dignità digitale fondata sul diritto a essere — e restare — autentici.