(di Redazione) 25 mila aziende costrette a chiudere a causa di usura e debiti, e ben 350 mila agricoltori vittime di reati di ogni genere e della criminalità anche di quella organizzata. Questi i numeri che rifìguardano la penisola e che sono stati snocciolati durante un recente convegno organizzato da Confagricoltura alla Luiss di Roma dal titolo “Le infiltrazioni criminali nell’economia agricola”.
In Italia la criminalità organizzata nel settore agroalimentare è un fenomeno dalle proporzioni inquietanti e purtroppo in continua ascesa. Capace di provocare alle imprese agricole danni che minano profondamente la loro competitività. La sola attività della Guardia di Finanza (dati del 2017 e dei primi dieci mesi del 2018) nell’ambito dell’agroalimentare ha portato al sequestro di beni per circa due miliardi di euro. Ai danni del settore, secondo dati recenti, si sarebbero consumati ben 33.045 illeciti amministrativi e più di 7.000 infrazioni penali.
«La criminalità organizzata – ha detto Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura – esercita il proprio controllo lungo tutta la filiera (produzione, trasformazione, trasporto, commercializzazione e vendita al pubblico), provocando alle imprese agricole danni diretti e indiretti, che minano profondamente la loro competitività, compromettendo fortemente la qualità e la sicurezza dei prodotti, e quindi indirettamente l’immagine e il valore del made in Italy».
Usura e racket delle estorsioni; sfruttamento della forza lavoro attraverso il “caporalato”; imposizione di materie prime e imballaggi; gestione coatta del trasporto dei prodotti lungo la filiera agroalimentare, fino allo stoccaggio della merce; furto di bestiame e macellazione clandestina; danneggiamento delle colture; depredazione e razzia del patrimonio boschivo (solo nel 2016 sono stati registrati 4.635 incendi sia dolosi che colposi, con una perdita complessiva di 27 mila ettari di boschi e aree verdi, compresi pascoli e pinete); furti di materiali direttamente connessi al processo produttivo, come rame o mezzi agricoli (trattori e attrezzature agricole);contraffazione dell’output produttivo, per esempio olio extra vergine d’oliva, vino e parmigiano; contrabbando di prodotti alimentari; utilizzo fraudolento di denominazioni geografiche, marchi e immagini che evocano l’Italia e i suoi prodotti (Italian sounding); truffe ai danni dell’Ue. Sono queste le principali modalità con le quali la criminalità organizzata esercita la sua azione sul sistema agroalimentare.
Se nel mercato operano imprese colluse o di proprietà diretta dei clan, è molto probabile che esse godano di un vantaggio competitivo tale da esercitare una forza centrifuga nei confronti di quelle appartenenti al circuito legale. Esse hanno, infatti, la possibilità di attingere a un bacino quasi illimitato di liquidità a costi molto ridotti, ricavato dalle attività illegali intraprese; possono penetrare più efficacemente i mercati e acquisire nuove quote di vendita, aggirando la legge; possono contare su manodopera spesso sottopagata e quindi molto remunerativa.
«Le attività di depredazione, controllo e imposizione delle mafie hanno determinato nel tempo un notevole squilibrio non solo nei rapporti fra gli operatori agricoli – ha aggiunto il presidente di Confagricoltura – ma anche fra questi e gli altri attori della filiera agroalimentare, facendo lievitare i prezzi al dettaglio dei beni alimentari e diminuendo drasticamente quelli all’origine». Si è creato così un meccanismo perverso e fortemente distorsivo del libero mercato che ha danneggiato principalmente gli imprenditori agricoli e i consumatori, soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’azione delle organizzazioni criminali si fa più incisiva e pervasiva.
La criminalità organizzata ha forti legami anche con la contraffazione, considerata un business più redditizio e meno rischioso rispetto alle altre attività illecite: un fenomeno diffuso in quasi tutti i settori produttivi, che rappresenta un grave problema per l’economia del nostro Paese, procurando perdite al sistema produttivo, danni all’immagine del Made in Italy e alla salute dei consumatori. A livello nazionale, nel 2015, il fatturato totale della contraffazione era stimato in 6,9 miliardi di euro, con una variazione reale del +4,4% rispetto ai 6,5 miliardi di euro stimati nel 2012. Al primo posto, per valore del mercato del contraffatto, si trovano gli accessori e l’abbigliamento, ma nessun settore merceologico viene escluso e uno particolarmente colpito è quello dell’agroalimentare.
L’attività operativa dei Nas, tra il 2017 e il 2018, nel settore della sicurezza alimentare si è caratterizzata per ben 53.526 controlli, di cui 19.218 con risultati di non conformità. Ci sono state 2.509 segnalazioni all’Autorità giudiziaria e 16.685 a quella amministrativa e sono state contestate sanzioni amministrative per oltre 26 milioni di euro, per un valore dei sequestri di oltre 638 milioni di euro. Inoltre, l’Ispettorato centrale repressione frodi nel 2018 ha eseguito ben 54.000 controlli.
«Soprattutto nel settore agroalimentare occorre potenziare – ha sottolineato Giansanti – l’azione informativa sui rischi per la salute dei prodotti contraffatti e sui danni che vengono causati all’economia agroalimentare italiana: l’immissione dei prodotti contraffatti nella produzione legale nazionale comporterebbe, infatti, un incremento della produzione interna di 18,6 miliardi di euro».
«Negli ultimi anni – ha concluso il presidente di Confagricoltura – è stato notevole l’impegno dei policy maker e delle Forze dell’Ordine per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata, sia a livello internazionale che nazionale, ma c’è bisogno della piena collaborazione di tutti i soggetti coinvolti. Occorre fare sistema, creando alleanze strategiche nella filiera agroalimentare, dalla produzione agricola al sistema di distribuzione, anche attraverso il rafforzamento delle pratiche di autocontrollo e la responsabilizzazione dei produttori».
Come uscire da questa pericolosa e odiosa situazione? A parere di Confagricoltura è urgente uno specifico piano di azione concordato tra le Istituzioni politiche, Forze dell’Ordine, imprese, parti sociali e Autorità preposte, che sia teso non solo al recupero del controllo dell’indotto agroalimentare, ma anche dell’intero territorio.