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ChatGPT e violenza di genere: una questione (anche) algoritmica
di Alexsandra Taormina

L’intelligenza artificiale generativa sta ridefinendo il modo in cui comunichiamo, apprendiamo, perfino ci relazioniamo. Ma cosa accade quando uno strumento pensato per assistere, informare o intrattenere, entra in contatto con uno dei temi più delicati della nostra società: la violenza di genere?

ChatGPT, come altri modelli di linguaggio, può essere una risorsa per la consapevolezza, il supporto psicologico, l’educazione al rispetto. Ma può anche diventare, se male utilizzato, una piattaforma che amplifica stereotipi, giustifica dinamiche tossiche o addirittura fornisce (involontariamente) contenuti problematici.

Un algoritmo non è neutrale

Sebbene ChatGPT sia progettato per aderire a linee guida etiche stringenti e venga costantemente aggiornato per evitare abusi, è impossibile ignorare un dato di partenza: i suoi modelli sono stati addestrati su enormi quantità di testi, che riflettono bias e pregiudizi della società. Di conseguenza, il rischio che emergano frasi, toni o implicazioni che banalizzano, romanticizzano o distorcono la violenza di genere è reale, anche se sempre meno frequente.

Un esempio? In passato, utenti hanno documentato conversazioni in cui, attraverso prompt manipolativi, l’IA si lasciava trascinare in scenari ambigui o normalizzanti rispetto a relazioni di potere sbilanciate o comportamenti possessivi.

Il mercato del sesso virtuale e le “prostitute digitali”

Tra le aree in più rapida espansione vi è il mercato del sesso virtuale, dove l’intelligenza artificiale viene impiegata per creare chatbot erotici, avatar ipersessualizzati e vere e proprie “prostitute digitali”. Alcune startup, come Replika (prima di un importante cambio di policy), hanno proposto relazioni digitali intime con assistenti virtuali in grado di simulare coinvolgimento emotivo e sessuale. Questo fenomeno solleva interrogativi urgenti: cosa significa costruire un rapporto “romantico” o sessuale con un’entità artificiale che non può fornire un consenso reale? Quale immaginario relazionale e sessuale stiamo alimentando?

La sessualizzazione programmata di avatar IA rischia di rafforzare una cultura che tratta il desiderio e la relazione come prodotti on demand, dove la volontà dell’altro è opzionale. In questo scenario, l’IA può diventare un campo di addestramento cognitivo alla deumanizzazione e all’oggettificazione.

Un terreno ambiguo: la simulazione delle relazioni

Tra i campi di maggiore diffusione dell’IA generativa c’è quello delle simulazioni affettive: chatbot che “fingono” relazioni sentimentali, partner digitali sempre disponibili, modelli linguistici usati per creare fanfiction a sfondo romantico. Qui, il confine tra fiction e normalizzazione di modelli relazionali problematici può farsi pericolosamente sottile.

Quando l’IA risponde a domande su gelosia, controllo, dominanza con frasi ambigue o validate da una narrazione romantica, il rischio è quello di contribuire alla diffusione di una cultura relazionale tossica.

L’effetto sul cervello: la finzione ha un impatto reale

La neuroscienza ci insegna che il nostro cervello, di fronte a simulazioni molto realistiche, tende a rispondere come se fossero vere. Le emozioni suscitate da una conversazione con un chatbot empatico, che ripete frasi problematiche o nega la gravità della violenza, possono avere effetti molto simili a quelli prodotti da un dialogo reale. Non si tratta di demonizzare lo strumento, ma di riconoscerne la potenza e la responsabilità.

ChatGPT come alleato per la prevenzione

Eppure, la tecnologia non è il nemico. ChatGPT può essere e è già, in molti contesti, uno strumento utile per:

  • Informare sulle forme di violenza di genere, anche quelle più subdole
  • Offrire risposte empatiche e validate da esperti a chi cerca supporto
  • Aiutare i professionisti della formazione e dell’educazione affettiva
  • Contrastare fake news e narrazioni tossiche online

Le sue risposte, laddove ben calibrate, possono contribuire a diffondere una cultura del consenso, del rispetto, della parità. Può aiutare a riconoscere i segnali precoci di una relazione abusante, a suggerire percorsi di uscita, a promuovere l’autodeterminazione.

La questione etica: responsabilità condivisa

La sfida è dunque collettiva. Serve un costante lavoro di aggiornamento da parte degli sviluppatori, una vigilanza critica da parte degli utenti, un coinvolgimento delle associazioni che si occupano di prevenzione e contrasto alla violenza di genere. ChatGPT, come ogni tecnologia potente, è uno specchio: riflette le domande che gli poniamo e il mondo che lo addestra. Sta a noi scegliere cosa fargli riflettere.

L’intelligenza artificiale non ha coscienza, ma può avere impatto. E quando l’impatto tocca la vita delle persone, soprattutto di chi ha già subito ingiustizie e abusi, allora ogni riga di codice, ogni riga di testo generata, diventa una questione di responsabilità umana.

 

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