(di Angela Sciortino) Una visita attesa da anni. Quattordici per l’esattezza. Era esattamente dal 2005, infatti, che un assessore regionale non si faceva vedere a Ramacca, in contrada Margherito, dove sorge la biofabbrica dell’Esa. Al di là dello stupore espresso dallo stesso Edy Bandiera per queste lunga e grave assenza, è già da un po’ di tempo che gli operatori del settore chiedono un rilancio in grande stile per l’impianto di Ramacca. Ma, in realtà, Bandiera non era lì per questo. A Ramacca l’assessore c’è andato per chiedere di attivare la produzione del Gryon muscaeformis, l’insetto antagonista della cimice del nocciolo (Gonocerus acuteangulatus) che sta arrecando tanti danni in Sicilia nei territori vocati alla coltura.
Ancora una volta si guarda il particolare e si perde di vista la visione generale. Ancora una volta, è duro ammetterlo, la politica non riesce a volare alto. La biofabbrica di Ramacca, infatti, produce insetti utili per la lotta biologica che rivende a prezzo calmierato a non più di duecento aziende agrumicole siciliane. Eppure la dimensione del mercato potrebbe essere di gran lunga superiore in una regione che, dati alla mano, vanta in Italia il primato per la superficie agricola destinata alle coltivazioni biologiche.
E dire, poi, che l’impianto di Ramacca non avrebbe nemmeno tanta concorrenza. In Italia, infatti, esiste soltanto un’altra struttura simile a quella siciliana, il Bioplanet di Cesena che fa capo alla Centrale Ortofrutticola romagnola. Ecco quindi che la presenza nell’Isola di una biofabbrica dove si producono insetti utili parassiti e/o predatori dei fitofagi delle colture di interesse agrario, potrebbe essere un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli agricoltori del Mezzogiorno d’Italia e dei Paesi mediterranei. Invece quella che sorge in contrada Margherito “campicchia” da qualche lustro, quasi dimenticata e a molti agricoltori è addirittura sconosciuta. Con la sua produzione di insetti utili riesce a coprire le necessità di poco più di 2mila ettari di agrumeti bio a fronte dei 16mila che insistono nell’Isola.
La biofabbrica di Ramacca venne progettata e realizzata dall’Esa a inizio anni duemila sfruttando la misura 9.5 del Programma Operativo Plurifondo Sicilia 1994-1999. L’avvio della produzione avvenne grazie alla partnership con il Biolab di Cesena. Chiusa la collaborazione con la struttura romagnola, l’impianto è stato, per così dire, “parcheggiato” e mantenuto a bassi regimi. Nulla di nuovo: è quello che accade a molte delle cose che appartengono all’Esa, l’ente che tutti i governi hanno sempre detto di volere sciogliere o trasformare, ma che nessuno ha mai in realtà toccato.
Non è mai stato però l’Ente di sviluppo agricolo a gestire la struttura. Nel carrozzone regionale, che ormai si va svuotandosi di personale e dove i beni ammortizzabili sono più che decotti, già all’epoca della realizzazione della biofabbrica non esistevano le competenze e le professionalità necessarie. Per questo la conduzione dell’impianto e la produzione degli insetti utili venne affidata sulla base di un bando ad evidenza pubblica.
Attualmente la fabbrica produce alcuni insetti predatori di parassiti degli agrumi. In particolare ne produce tre: l’Aphytis melinus destinato alla lotta dell’Aonidiella aurantii (cocciniglia rossa-forte degli agrumi), ma in grado di parassitizzare anche altre specie di Diaspidini quali Aonidiella citrina e Aspidiotus nerii; il Cryptolaemus montrouzieri e il Leptomastix dactylopii entrambi destinati alla lotta dei Rincoti Omotteri Pseudococcidi ed in particolare di Planococcus citri (Cotonello degli agrumi).
Fino al 2013 gli ausiliari biologici prodotti dalla struttura venivano forniti gratuitamente agli agricoltori che ne facevano richiesta. A partire dal 2013 gli insetti utili sono stati forniti alle aziende a un prezzo calmierato, seguendo un complesso protocollo fatto di domande da consegnare brevi manu, iscrizione in apposito albo, notifica di bonifici bancari relativi ai pagamenti anticipati e altro ancora, il tutto gestito rigorosamente a mano, senza l’ausilio di mezzi informatici né procedure gestionali. Per non parlare della logistica: le consegne del materiale avvengono solo nella biofabbrica.
Ma non è questo l’unico motivo che giustificherebbe il numero così esiguo di aziende che hanno avuto accesso al servizio. Per prima cosa c’è da considerare che buona parte degli imprenditori agricoli siciliani non conosce nemmeno l’esistenza della struttura di Ramacca, tanto che quasi tutti ancora oggi finiscono per rivolgersi alla Bioplanet di Cesena.
Ci sono poi i limiti imposti per contratto alla Spata Srl di Catania che anni fa ha vinto il bando pubblico per la gestione dell’impianto Esa. La società riceve ogni anno (non sempre con puntualità) dall’ente una cifra vicina ai 300 mila euro per i costi del personale (tecnici specializzati, agronomi ed entomologi) che mette a disposizione e per l’acquisto dei materiali necessari per la produzione degli ausiliari biologici. L’Ente di Sviluppo Agricolo, poi, secondo il contratto di servizio, avrebbe dovuto garantire la disponibilità di cinque operai, ma non sempre è riuscito ad onorare l’impegno.
Ma al di là di tutto questo, c’è stata la totale assenza di “visione” da parte dell’ente che, sempre in bilico tra cancellazione e rilancio, da alcuni decenni non ha né una governance stabile nè gode più del sostanzioso sostegno finanziario che un tempo assicurava la Regione.
La biofabbrica di Ramacca, insomma, è paragonabile a una Ferrari un po’ acciaccata e da revisionare, che avanza solo con un filo di gas. Del potenziamento ne parlano tutti: l’assessore all’Agricoltura, il direttore del Dipartimento regionale Agricoltura, il cda e il direttore dell’Esa. Per farlo ci vogliono investimenti e grandi competenze. Due cose, almeno per ora, non facili da trovare.