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Aranciate: contenuto minimo di succo d’arancia dal 12 al 20 per cento
di Angela Sciortino

aranciate

(di Angela Sciortino) Da due giorni è entrata in vigore la legge 161/2014 che impone per le aranciate un maggiore contenuto di succo d’arancia, innalzandolo dal 12 al 20 per cento. Per le bevande prodotte anteriormente alla data di inizio dell’efficacia delle disposizioni, è comunque consentita la commercializzazione fino ad esaurimento delle scorte.

Si tratta di un provvedimento importante, osserva Coldiretti, che tutela la salute di tutti ma anche la produzione italiana del settore agrumicolo che sta attraversando un difficile momento di crisi.

Dopo sessant’anni cambia, quindi, una norma del 1958 venendo incontro all’esigenza di maggiore tutela della salute dei consumatori e adeguandosi ad un contesto programmatico europeo che tende a promuovere una alimentazione più sana ed a diffondere corretti stili alimentari. Con la nuova norma si contribuisce, inoltre, ad offrire il giusto riconoscimento alle bevande di maggior qualità riducendo l’utilizzo di aromi artificiali e soprattutto di zucchero con un impatto positivo sulla qualità dell’alimentazione e sulla spesa sanitaria connessa a malattie corniche come obesità e diabete. «Il prossimo passo verso la trasparenza – sostiene Coldiretti – è quello di rendere obbligatoria l’indicazione di origine in etichetta della frutta utilizzata nelle bevande per impedire di spacciare succhi concentrati importati da paesi lontani come made in Italy».

«Questo provvedimento da solo non basta», osserva Basilio Catanoso, deputato uscente ma non riconfermato di Forza Italia. Solo se verrà associato all’indicazione in origine delle arance da cui si trae il succo per fare le aranciate, potrà a salvare migliaia di ettari di agrumeti italiani situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria dove le piante di agrumi rivestono anche un importante ruolo paesaggistico. In Italia negli ultimi quindici anni ben il 31% della superficie coltivata ad agrumi è, infatti, stata spazzata, mentre i redditi dei produttori sono andati a picco.

«Speriamo che il nuovo governo possa perseverare nella azione di tracciabilità per tutta la produzione dell’agroalimentare italiano, al fine di consentire al consumatore finale di conoscere con esattezza l’origine del frutto – prosegue Catanoso – in altro modo, anche se indirettamente, non si farà altro consentire l’ingresso di produzioni provenienti da altri paesi. Se volessimo esagerare, potremmo quasi dire che sarebbe stato meglio mantenere la percentuale al 12 per cento di succo ma con origine tracciata piuttosto che un 20 per cento senza tracciabilità». La circostanza, infatti, potrebbe amplificare i problemi che si volevano risolvere.

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