Non è anomalo trovare belle giornate di sole in Sicilia anche in pieno inverno,
di certo, è più anomalo trovare lunghi periodi di siccità invernale che,
a causa del generale riscaldamento globale, potrebbe portare
questo inverno mite siciliano ad essere ricordato
come uno dei più caldi registrati negli ultimi anni in Sicilia.
Da questo generale innalzamento delle temperature,
le coltivazioni tradizionali siciliane stanno subendo
gravi danni, l’elenco include molti dei tipi di culture tradizionali:
il grano, come le fave, gli ortaggi e non ultime,
le rinomate lenticchie di Ustica che,
a causa della combinazione del forte vento e siccità,
rischiano di non maturare e di fare saltare la produzione,
secondo un recente allarme dato dalla Coldiretti Sicilia.
Nei giorni scorsi, la stessa Coldiretti ha espresso preoccupazione
per la situazione nel ragusano sottolineando come
“ Nella zona del ragusano, l’erba è secca e si temono speculazioni
sul prezzo del fieno. In tutta la Sicilia i problemi maggiori
riguardano il grano e altri seminativi che hanno bisogno di concime
Le fave, in alcune parti dell’isola, sono fiorite con anticipo
e hanno bisogno di irrigazioni. La tensione è altissima perchè
per il grano bisognerebbe avviare la concimazione
ma in assenza di acqua non è possibile“
A sottolineare ulteriormente la gravità della situazione
è intervenuto anche il presidente della Confagricoltura regionale Ettore Pottino
che ha scritto una lettera all’assessore Edy Bandiera evidenziando come
“La mancanza di piogge accompagnata da temperature molto al di sopra delle medie stagionali,
per non dire estive, sta producendo ritardi e fallanze
a carico delle produzioni cerealicole ed anticipi di fioritura,
per quelle arboree con notevoli rischi in caso di riabbassamento
delle temperature o gelate. Si tratta di un fenomeno abbastanza inconsueto,
non solo per l’agricoltura siciliana,
al punto che non sembrano esserci spazi per l’applicazione,
in caso di mancato reddito, delle disposizioni previste dal Fondo di Solidarietà Nazionale”.
Impietosa è anche l’analisi della confederazione produttori agricoli COPAGRI
che, durante l’ultima riunione interna dei presidenti regionali ha diffuso la seguente nota
“A causa del cambiamento climatico, i cui effetti sono sempre più evidenti e difficilmente negabili,
si stima che entro il 2050 nella parte meridionale del continente europeo si verificheranno cali produttivi generalizzati, che raggiungeranno picchi del 50% per le rese delle coltivazioni con semina in asciutta, come cereali e colture da rinnovo, oltre a un conseguente e diffuso calo del reddito dei produttori agricoli;
Proprio l’agricoltura, nel prossimo futuro, rischia secondo recenti dati di perdere tra il 20% e il 60% della produzione, con particolare riferimento a coltivazioni quali cavolfiori, broccoli, sedani e finocchi, tra le prime a pagare il conto del climate change. Anche l’apicoltura è sempre più esposta alle bizze del clima e sconta una grande debolezza verso alcune delle peggiori calamità naturali provenienti dall’estero, la cui introduzione e diffusione è favorita proprio dai cambiamenti climatici”
Lo stesso meccanismo perverso induce ad adottare misure contenitive importando grano dall’estero
di dubbia qualità e provenienza. Ai primi di Febbraio è arrivato al porto di Pozzallo un carico di grano probabilmente francese. Una situazione che necessità di controlli accurati in quanto questo grano ha un prezzo troppo basso rispetto a quello nostrano e, come spiega l’eurodeputato cinque stelle Corrao
“Il prezzo basso del grano estero sta da anni drogando le borse merci locali impedendo ai produttori locali siciliani di vendere il loro prodotto al giusto prezzo e al giusto valore. La mazzata finale è il misero contributo PAC, che non basta neanche a recuperare le spese di produzione delle aziende agricole. In Sicilia c’erano 300 mila aziende cerealicole, mentre adesso ne risultano 219.000. Morale ci sono quasi 80 mila aziende agricole in meno, che testimoniano l’umiliazione che sta subendo la cerealicoltura del centro Sicilia”.
La sfida globale del cambiamento climatico e della capacità di resilienza del sistema
è appena cominciata. Si preannuncia piena di difficoltà e crisi da superare
eppure bisogna preservare le produzioni siciliane tipiche e facendo leva
sulla forza dei tanti marchi IGP e DOP presenti sull’Isola e salvaguardati.
Questo scenario attuale rischia di far perdere la memoria
di quella Sicilia che Catone il Censore, celebre politico e oratore della antica Roma,
definì “il granaio della Repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito”