(di Anna Venturini) Considerando che la maggior parte degli itinerari turistici proposti in Sicilia prevedono una specie di gran tour dell’isola concentrato in una settimana, trascorrere invece un’intera settimana a Collesano, grazioso comune del Parco delle Madonie, potrebbe sembrare eccessivo.
In realtà, il moderno gran tour della Sicilia, che degli antichi fasti ottocenteschi mantiene solo il nome, si risolve di media in sette o dieci giorni durante i quali i malcapitati “continentali” vengono sottoposti ad una serie di tappe forzate per le strade assolate dell’isola, trascinati impietosamente tra monumenti, mercati, piazze e spiagge di cui complessivamente conserveranno un pallido e sfuocato ricordo.
Una coppia di amici ospita me e mio marito in campagna, la casa è immersa in un uliveto centenario adagiato su un declivio che guarda al Monte d’Oro. Una settimana a Collesano, o in un qualsiasi altro paesino storico della Sicilia, non vi troverà mai annoiati o senza un’idea per trascorrere un pomeriggio, è un soggiorno prolungato lascia spazio ad una serie di rilassanti scoperte sulla storia, la vita, la natura, la cultura e la gastronomia locali.
Il calore dell’estate avvolge ogni cosa e regola i ritmi della giornata. Le giornate trascorrono rilassate, e le ombre si allungano sulle nostre sere sorprendendo molti di noi immersi nella lettura, nel gioco, nelle chiacchierate rilassate e nelle riflessioni fuori dal tempo. Quando l’aria rinfresca si avvicinano alla casa tre volpi, oramai abituate alla presenza pacifica dell’uomo, che in questa zona accettano benevolmente la loro presenza (probabilmente nessuno alleva galline, penso) e dividono in maniera abbastanza pacifica una ciotola di avanzi con i gatti di casa. Mi ritrovo incantata di fronte ad una finestra che incornicia la campagna, immobile, dipinta con i colori dorati della mietitura.
Nelle prime ore della mattina mi concedo passeggiate e brevi escursioni, e trascorro molte ore per i vicoli del paese, curiosando tra le botteghe e lasciando che la casualità del tempo mi regali inaspettati incontri. I collesanesi sono cordiali e bendisposti a ritagliare qualche momento della propria giornata per scambiare una chiacchierata con i “foresti”, così, poco a poco, mi faccio un’idea della storia e della cultura del paese.
Collesano, che si raggiunge in meno di un’ora dalla costa, è adagiato sulle pendici di un monte che già in epoca araba veniva chiamato Monte d’Oro, in un’area in cui la presenza umana è attestata fin dall’antichità. Antonino Cicero e Marco Failla, autori di una guida che letto con interesse, raccontano che sotto la dominazione musulmana il centro era descritto dal geografo arabo Al Muquaddasi con il nome di Qal’at as-sirat, ovvero “rocca sulla retta via”, ed era inserita tra i centri urbani di un certo rilievo nel decimo secolo. Il Monte d’Oro e il sito di Qal’at as-sirat sono citati nel celebre trattato di Al Edrisi, geografo musulamano alla corte di re Ruggero. Intorno all’anno mille l’abitato di Collesano era dunque una “rocca sopra un colle scosceso ed elevato poggio” che “abbonda d’acque e ha molte terre da coltivare”, dove esisteva un castello “fortificato e difendevolissimo”. Edrisi costituisce la prima fonte che testimonia la distruzione del centro antico avvenuta per volere di re Ruggero ll, che ne dispose in seguito la ricostruzione: Collesano infatti nasce dal trasferimento dell’antico stanziamento abitato sul Monte d’Oro nella zona dell’attuale centro abitato, fondato in età in età normanna e concesso in feudo ad Adelicia, nipote di re Ruggero, la quale ne fece il centro di una vasta signoria territoriale.
Nel Duecento Collesano viene descritto come un “oppidum”, ovvero un centro fortificato e protetto da mura, che poteva contare “trecento fuochi” cioè circa milleduecento abitanti. Per una serie di successioni e mirate politiche matrimoniali, si succedono vari passaggi di proprietà tra famiglie siciliane, come i Ventimiglia, e feudatari francesi e spagnoli, fino allo straordinario sviluppo economico di Cinque e Seicento, quando, con le signorie dei Cardona, degli Aragona e dei Moncada, il centro vide sorgere opifici e botteghe artigianali, confraternite religiose e una rinomata produzione artistica di ceramiche conosciute ancora oggi. Passeggiando per il quartiere Bagherino, all’estremo nord dell’abitato, si respira l’atmosfera antica del castello medievale: il quartiere merita una visita, non fosse altro per la sensazione di essere catapultati indietro nel tempo. Il dedalo di viuzze strette e tortuose conduce ai ruderi del castello, che, pur non essendo ancora fruibile al meglio, si presta a diventare uno spazio aperto interessante, dato che il Comune lo ha acquistato recentemente e sottoposto a lavori di riqualificazione, in attesa di farne uno spazio completamente aperto al pubblico.
Tra passeggiate nei sentieri del Parco delle Madonie, interessanti chiacchierate con chi coltiva e raccoglie le olive, visita al frantoio e al forno a legna che ancora viene alimentato con i gusci delle mandorle, che regalano al pane un aroma particolare, tappa obbligatoria nel centro del paese è una visita al museo della Targa Florio, storica competizione automobilistica delle Madonie. Nel museo sono conservati fotografie, costumi, oggetti e cimeli di una delle corse più amate e suggestive della storia, creata nel 1906 da Vincenzo Florio.
Uno degli aspetti più interessanti del paese è dato dalla presenza delle botteghe della ceramica. Collesano, insieme a Burgio, Caltagirone, Palermo e Sciacca è uno dei sei centri siciliani depositari di una tradizione antica e rinomata della lavorazione e decorazione dell’argilla. Il più antico documento che testimoni la presenza di attività ceramica a Collesano risale al 1567 ed è infatti nel corso di Sei e Settecento che l’attività raggiunge grande vitalità creativa, grazie anche alla presenza di maestranze di altre zone della Sicilia. L’argilla veniva estratta nella cava di una contrada del paese, in funzione già dal Cinquecento e veniva lavorata, cotta e smaltata nelle “stazzuna”, vere e proprie botteghe artigianali, che, nel corso del tempo, si concentrarono nella zona del limite orientale dell’abitato, che per familiarità toponomastica prese proprio il nome di quartiere Stazzone. Ancora oggi è possibile visitare l’ultima delle fornaci ceramiche tradizionali risalente agli inizi del Novecento, dove sono conservate l’impianto e le attrezzature utilizzate nelle diverse fasi della lavorazione: il tornio, il mulino a mezza luna dove di preparavano gli ossidi metallici per invetriatura e le camere di cottura a combustione lignea. La produzione ceramica collesanese si distingue per i tre colori di base, il verde ramina, il giallo paglino e il manganese e per una delicata grazia nelle forme: alcune botteghe locali espongono vecchie collezioni realizzate dalle famiglie locali e molti esemplari antichi sono esposti al museo etnografico Pitrè di Palermo.
Ripensando ai giorni trascorsi in campagna sento provo la curiosa sensazione di rivivere le vacanze estive da bambina, quando “mi mandavano”, dalla Liguria, nel basso Piemonte, presso una famiglia di zii che vivevano in una dimensione per me straordinaria, in una cascina immersa nei campi di granoturco, dove si mungevano le mucche e si cuoceva il pane nel forno a legna. Ricordi e sapori fuori dal tempo.