(di Redazione) Tra ex feudi, piccoli lotti di terreno superstiti della riforma agraria e masserie, la Regione, sia direttamente che tramite i propri enti strumentali, possiede qualcosa come 550 mila ettari di terreno. A questi poi si aggiungono anche alcuni capannoni di industrie alimentari dismesse. Solo l’Ente di sviluppo agricolo è proprietario di circa 400 mila ettari; il Dipartimento per lo Sviluppo rurale ne gestisce, invece, 150 mila. E poi ci sono gli immobili appartenenti alle Aziende sanitarie provinciali, provenienti essenzialmente da lasciti e donazioni di benefattori.
Dopo il primo incontro con i dirigenti delle Finanze, dell’Agricoltura, dello Sviluppo rurale, della Salute e dell’Esa, la situazione del patrimonio fondiario della Regione Siciliana al presidente Nello Musumeci è apparsa, per dirla con un eufemismo, piuttosto disordinata. Ma in questa ingarbugliata matassa il governatore intende mettere ordine dopo che neppure l’istituzione della Banca della terra che risale al 2014 è servita a razionalizzare i fondi rustici per scopi di valenza sociale e per creare nuova occupazione.
«Per la stragrande maggioranza di questi beni – ammette Musumeci – mancano dati dettagliati e valutazioni agronomiche. Inutile dire che tra le pieghe di tanta indifferenza, che ha caratterizzato negli anni la gestione del patrimonio pubblico in Sicilia, si annidano mafiosi, speculatori, opportunisti e qualche ‘amico del giaguaro’, che detengono senza alcun titolo immobili non di loro appartenenza».
E continua: «L’operazione verità sul patrimonio immobiliare della Regione richiederà tempo, ma verrà perseguita senza tentennamenti. Di certo siamo di fronte a una giungla di dati, competenze, appunti, che a tutt’oggi non consente di avere un quadro completo, aggiornato e dettagliato degli immobili rustici e urbani di proprietà della Regione e dei suoi enti strumentali».