(di Angela Sciortino) Sono sparpagliati per l’Italia ma rischiano l’abbandono. Sono per niente redditizi e per mantenerli si spendono tanti soldi. Crescono prevalentemente al Sud, ma ancora per poco, a sentire alcuni agricoltori eroici che non ce la fanno più a mantenerli. Si trovano prevalentemente sulla riviera ionica della Sicilia e su quella tirrenica e ionica della Calabria. Poi ci sono quelli della penisola sorrentina e i famosi limoneti a terrazze a strapiombo sul mare della costa amalfitana, quelli delle isole del golfo di Napoli e quelli del Gargano in Puglia. E per finire quelli che crescono intorno al lago di Garda.
Parliamo degli agrumeti storici e caratteristici, quelli cioè che hanno particolare pregio varietale paesaggistico, storico e ambientale e che sono situati in aree vocate alla coltivazione di specie agrumicole dove le caratteristiche climatiche ed ambientali sono capaci di conferire al prodotto specifiche caratteristiche. Per la loro salvaguardia il Parlamento nazionale il 25 luglio del 2017 varò la legge n.127 entrata in vigore poi il 3 settembre dello stesso anno. E venne pure istituito un fondo di tre milioni di euro per il 2017 da destinare al ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia degli impianti arborei, trovando una soluzione al vincolo imposto dai trattati europei che vietano aiuti all’agricoltura al di fuori di quelli previsti dalla politica agricola comune. È bastato far leva sulla finalità di tutela ambientale, del territorio e del suolo e di conservazione dei paesaggi tradizionali, nonché di tutela e valorizzazione della biodiversità agraria, per superare l’ostacolo dei vincoli imposti per i cosiddetti aiuti si Stato.
Ma di quei tre milioni per gli agrumeti storici, gli agrumicoltori “eroici” non hanno ancora visto un centesimo. La buona notizia arriva dalla Commissione Stato-Regioni che ieri ha licenziato l’intesa sul decreto riguardante gli agrumeti caratteristici che avrebbe dovuto essere operativo già entro tre mesi dalla pubblicazione della legge in gazzetta. Nel decreto sono indicate le nove regioni che si spartiranno il tesoretto di tre milioni che è stato diviso in una quota fissa (600 milioni) da assegnare in parti uguali e in una quota variabile che è funzione della superficie agrumicola regionale. Pertanto alla fine la ripartizione è la seguente: Piemonte 66.901,09 – Lombardia 67.229,95 – Liguria 67.689,93 – Marche 67.491,78 – Campania 103.100,05 – Puglia 250.463,93 – Calabria 760.387,42 – Sicilia 1.469.141,78 – Sardegna 147.594,07. Non deve stupire che la Sicilia abbia avuto assegnata la maggior quota (del resto è la regione con la maggiore superficie destinata alla coltura di agrumi), ma saltano agli occhi le cifre esigue di Piemonte, Lombardia, Liguria e Marche che, a conti fatti, senza la quota fissa avrebbero potuto ottenere solo qualche euro.
Adesso lo schema del decreto licenziato dalla Commissione Stato-Regioni in cui sono indicati anche i criteri e le tipologie degli interventi previsti e la determinazione della misura dei contributi erogabili, dovrà acquisire i pareri di merito delle competenti Commissioni parlamentari. Dopodichè, finalmente, i ministri competenti e cioè quelli all’agricoltura, al turismo e all’ambiente con la loro firma congiunta lo renderanno esecutivo.
Ma non è finita qui. Perché poi parte il processo decisionale delle Regioni che prima di potere mettere a bando le somme assegnate per la salvaguardia degli agrumeti storici, dovranno sentire i comuni competenti per territorio e i consorzi di tutela delle produzioni di agrumi. Quindi devono definire, nel limite delle risorse finanziarie assegnate, l’ammontare di quelle da destinare a ciascuno degli interventi previsti dal decreto interministeriale e finalmente possono pubblicare il bando in cui stabiliscono modalità e tempi per la presentazione delle domande e per l’assegnazione dei contributi. Detta in soldoni, le Regioni non potranno pubblicare il bando prima del 2019. E gli agrumeti storici e di pregio potranno continuare a rimanere abbandonati.