(di Redazione) Il tempo è scaduto, senza risposte concrete da parte del governo regionale, le organizzazioni professionali agricole siciliane sono pronte a proclamare lo stato di agitazione, avviando una serie di proteste che coinvolgano tutti comparti del settore agroalimentare.
Non hanno dubbi i rappresentati di Agrinsieme Sicilia, il coordinamento costituito da Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative (Legacoop, Confcooperative e Agci) che da Catania lo scorso 14 giugno hanno lanciato l’ultimo appello al governo della Regione sottoscrivendo un documento di sintesi sulle questioni di maggiore criticità che vive il settore agroalimentare.
Sono tanti i punti dolenti evidenziati nel documento. A cominciare dalla mancata programmazione di interventi strutturali, dalla carenze di infrastrutture, dall’inadeguato controllo e gestione delle fitopatie. Per continuare con la mancata riforma dei consorzi di bonifica, la sburocratizzazione, le problematiche connesse alla gestione Agea, i sostegni fiscali alle imprese. Tutto questo – è scritto nel documento unitario – deve tornare al centro dell’agenda politica regionale.
Necessari interventi robusti ed efficaci per superare l’emergenza ed una lungimirante programmazione per far fronte sul piano strutturale alle necessità del sistema agroalimentare della Sicilia, si legge ancora nella nota di Agrinsieme. «Serve di tutto, dall’ammodernamento degli impianti produttivi per dare valore alla qualità, alla competitività nei mercati al consumo e garantire un adeguato sostegno alle politiche di filiera. La salvaguardia dei redditi e dell’occupazione deve essere il filo conduttore di politiche governative, che determinino scelte di vantaggio sulle politiche fiscali, sui costi di trasporto, sul lavoro, sulla logistica e sulle infrastrutture», continuano i rappresentati delle imprese agricole singole e associate.
In Sicilia – fa notare Agrinsieme – si concentra il 57% delle produzioni nazionali di agrumi, con oltre 10 milioni quintali di arance, 4 milioni di limoni, 600 mila di mandarini e 500 mila quintali di clementine all’anno che rappresentano i 2 terzi del raccolto nazionale. Sono circa 70 mila ettari nella sola Sicilia Orientale dedicati all’agrumicoltura, di questi 15 mila ettari sono coltivati a limoni, gli altri ad agrumi arancia amara, e fatta eccezione per i 10 mila ettari trasformati dalle imprese, i restanti 45 mila ettari di agrumeti sono stati colpiti dalla Tristeza.
«È necessaria – dichiara Giuseppe Di Silvestro, presidente Cia Sicilia orientale – l’adozione di un piano di rilancio dell’agrumicoltura siciliana e nazionale, che valorizzi le opportunità offerte dal riconoscimento comunitario Igp, aiuti la diversificazione produttiva e l’ampliamento del calendario produttivo, affermi la validità dell’innovazione e della ricerca finalizzata al miglioramento delle cultivar e alla conquista dei mercati sia per il prodotto fresco che per il trasformato».
Le organizzazioni di categoria chiedono anche l’istituzione di una cabina di regia nazionale per programmare gli interventi necessari finalizzati all’ammodernamento dell’agrumicoltura e un piano finanziario capace di favorire realmente una diffusa ristrutturazione sia dal punto di vista della difesa contro le fitopatie conosciute (tristeza) che contro le nuove fitopatie (citrus black spot e greening). «Anche le colture limonicole segnano il passo – aggiunge Di Silvestro – e scontano la presenza delle fitopatie prima fra tutti il malsecco sul quale bisogna intervenire con urgenza».
Se nel comparto agrumicolo si piange, in quello cerealicolo nemmeno si sorride. «La ceralicoltura sta subendo una notevole pressione dalla concorrenza estera che si riflette sul modesto aumento dei prezzi che non trova riscontro negli aumenti dei costi di produzione sempre più alti – fa osservare Giovanni Selvaggi, presidente Confagricoltura Catania – ed è indispensabile valorizzare i nostri prodotti cerealicoli che subiscono la concorrenza sleale dei paesi terzi che producono a costi enormemente più bassi, con manodopera a basso costo, con prodotti fitosanitari non più ammessi dai regolamenti europei e nazionali».
«La programmazione degli interventi – sottolinea Salvatore Corrado Marino per Alleanza delle Cooperative (Legacoop, Confcooperative e Agci) – va fatta in un quadro strategico e di sistema che guardi a produzione, trasformazione, mercato, ricerca, innovazione, aggregazione, sostenibilità ambientale e territorio. Servono poi politiche adeguate per l’innovazione e per la competitività, dirette a favorire la ripresa economica delle imprese agricole, fondamentale anche il capitolo delle infrastrutture materiali e immateriali, strategiche per lo sviluppo agroalimentare, soprattutto nella nostra isola e a partire dalle aree rurali, dove il sistema sconta arretratezze e inefficienze».
E ancora, il nodo dei consorzi di bonifica: «Lo stato di emergenza nel settore idrico e le gravi responsabilità storiche sia nella gestione della bonifica in Sicilia che nei mancati interventi strutturali – denuncia Giosuè Catania, responsabile regionale delle bonifiche per la Cia – confermano la necessità di interventi indifferibili in un tutt’uno con la tanto attesa riforma sul riordino dei consorzi di bonifica, compreso un intervento immediato per scongiurare l’aumento spropositato e ingiustificato dei ruoli consortili».
E infine la burocrazia, «un fardello eccessivo per le aziende agricole – osserva Graziano Scardino, referente regionale dei Centri di assistenza agricola della Cia – che pesa quasi come le calamità naturali sia in termini di costi che in termini di tempo sottratto alla gestione dell’impresa. Agea è un carrozzone politico che sta strozzando le imprese agricole. Basti pensare ai mancati pagamenti delle misure a superficie del Psr che dopo quattro anni sono ancora bloccati a causa di anomalie informatiche o di controlli automatizzati».