(di Redazione) «La nuova campagna agrumicola è alle porte e non c’è tempo da perdere: prima del suo avvio sono necessari interventi legislativi per la valorizzazione del prodotto trasformato». Lo sostiene senza mezzi termini Federica Argentati, presidente del Distretto Agrumi di Sicilia, la struttura che promuove la valorizzazione dei prodotti agrumicoli siciliani freschi e trasformati e il cui Patto di Sviluppo è stato sottoscritto da numerose aziende ed enti della filiera.
«Il Distretto e i suoi attori sostengono da tempo che la trasformazione industriale – spiega Argentati – non deve essere considerata come semplice canale di “sbocco” delle produzioni in eccesso: anch’essa è un veicolo di commercializzazione di una quota di prodotto di qualità». E aggiunge: «Nel mercato globale, un servizio di trasformazione specializzato può dare al consumatore la possibilità di trovare sul mercato prodotto siciliano in succhi e spremute fresche, o da concentrato, all’interno delle bibite con una chiara origine di provenienza, con indubbio vantaggio per la produzione e per i consumatori stessi». In sintesi, secondo il presidente del Distretto, per ottenere un reale risultato sono necessarie, oltre che una maggiore consapevolezza della filiera, alcune modifiche della normativa basate sul recepimento di alcune norme europee.
Il problema mosso dalla Argentati non è nuovo e si può riassumere in una semplice domanda: dove sono stati prodotti gli agrumi il cui succo si trova nelle numerose bevande in commercio? Impossibile in questo momento dare una risposta, nelle etichette non è scritto nulla circa la provenienza degli agrumi o dei loro succhi. «Senza la valorizzazione territoriale, che deve essere accompagnata dall’innovazione scientifica ed organizzativa – spiega il presidente del Distretto – è impossibile competere sui mercati internazionali. In questo momento se si dovesse agire solo sui prezzi, date le attuali condizioni di costi sulla filiera e l’elevata competizione globale, spesso i produttori sono costretti vendere in perdita». Quindi snocciola le proposte del Distretto: monitoraggio della produzione siciliana con dati certi e strumenti in grado di quantificare, con certezza anche la porzione trasformata in succhi suddiviso per specie e varietà; incentivi e sostegni reali a seri accordi di filiera tra produzione e trasformazione industriale con qualità e quantità individuata e programmata; indicazione in etichetta, in maniera chiara, visibile, facilmente leggibile e indelebile, del Paese di coltivazione degli agrumi e il Paese di trasformazione o rilavorazione degli stessi, analogamente a quanto già previsto per latte e derivati e più di recente per il grano duro della pasta; programmi volti alla diffusione di corretti comportamenti alimentari in cui sia inserito il consumo dei prodotti trasformati.
«A tal riguardo – dichiara Federica Argentati – il Distretto ha una propria proposta: basterebbe una circolare del ministero della Salute che imponga a tutte le Asl nazionali di inserire nei nuovi bandi di gara la richiesta, senza oneri, di distributori automatici di spremute, di frutta fresca e affettata e di succhi (oltre agli operatori tradizionali del vending) ai quali possano partecipare anche le Op (Organizzazioni di Produttori) e prevedere, nel bando “Frutta nelle Scuole”, l’inserimento delle spremiagrumi automatiche, oltre che di prodotto fresco e comunque trasformato».
E per finire, serve una imponente campagna di comunicazione istituzionale sulle produzioni agrumicole fresche e trasformate rivolte al consumatore con coerente riferimento normativo alle produzioni Igp, Dop e biologiche e comunque tracciate rispetto all’origine di produzione.
«La filiera che sta lavorando e crescendo – conclude l’Argentati – non chiede aiuti economici ma di alcuni interventi normativi e di riordino generale che possano aiutare il comparto nel suo complesso per gli effetti anche indiretti sul mercato del fresco, che sostenga e tuteli le scelte dei consumatori e valorizzi il territorio di produzione».