(di Angela Sciortino) 80 produttori per un totale di 140 ettari. Ma anche gli storici trasformatori locali che con il pistacchio dell’Agrigentino gli indimenticabili biscotti ricci al pistacchio, il gelato, il cous cous delle monache Benedettine di Agrigento e la cubaita. Le due categorie hanno costituito l’Associazione per la tutela del pistacchio di Raffadali e hanno avviato la pratica per il riconoscimento della Dop, la Denominazione d’origine protetta, da parte dell’Unione europea.
L’iter è ormai a buon punto. Per il prossimo 21 settembre alle 16 il Ministero delle Politiche Agricole, Agroalimentari, Forestali e del Turismo ha fissato la riunione di pubblico accertamento durante il quale si darà lettura della proposta di disciplinare. L’appuntamento è nell’Aula consiliare del Comune di Raffadali. Lì i funzionari del ministero potranno verificare “la rispondenza della disciplina proposta ai metodi leali e costanti previsti dal regolamento Ue n.1151 del 2012
Quella del Pistacchio di Raffadali è una produzione decisamente limitata che però può crescere grazie alle adesioni di nuovi produttori e all’ampliamento delle superfici coltivate. Ma non di molto. Sarà limitata, esattamente come lo è quella del Pistacchio di Bronte che è una Dop da tanti anni, ma che è tanto apprezzato, quanto imitato. Tanto che sono in molti a sospettare che sotto le mentite e più costose spoglie del pistacchio verde di Bronte Dop si celi prodotto che proviene da paesi del Medio Oriente come Turchia e Iran. Anche se – assicurano i produttori – confonderli non è possibile: basta ricordare che il prodotto siciliano è caratterizzato da un verde smagliante, mentre quello estero è molto più chiaro e tende al giallo.
La coltura del pistacchio nell’Agrigentino, altro areale della Sicilia insieme a quello nisseno e brontese dove da tempo immemore si coltiva la Pistacea vera, è limitata a quel pezzo di territorio caratterizzato da terreni sciolti che evolvono da substrati calcarei. Solo la cultivar “Napoletana” chiamata anche “Bianca” o “Nostrana” e innestata sul terebinto (Pistacia terebinthus) è citata nella proposta di disciplinare. Cultivar e portainnesto diversi, nei singoli impianti, sono tollerati solo fino al 5 per cento. Posto anche un tetto per la produzione: 25 quintali per ettaro.
La zona di produzione insiste nei territori dei comuni di Raffadali, Joppolo Giancaxio, Santa Elisabetta, Agrigento, Cianciana, Favara, Racalmuto, Sant’Angelo Muxaro, San Biagio Platani, Cattolica Eraclea, Casteltermini, Santo Stefano di Quisquina e Aragona. A controllare e vigilare sul rispetto del disciplinare e quindi a certificare il prodotto che potrà essere commercializzato sia in guscio (ma senza mallo) che sgusciato ed eventualmente pelato, sarà l’Istituto Zootecnico Sperimentale della Sicilia.
La storia del pistacchio nella zona compresa nell’areale descritto nella proposta di disciplinare risale alla seconda metà dell’Ottocento. Il primo pistacchieto di ben 13 ettari che fece arricchire il pioniere di questa coltura, venne realizzato dal Cavaliere Giacomo Maria Spoto. Poco dopo l’effetto emulazione fece sì che altri notabili realizzassero nuovi impianti della coltura, compreso quello voluto dal Duca Colonna di Cesarò che all’epoca era ministro delle poste e delle telecomunicazioni. La coltura divenne il fulcro del sistema agricolo ed economico della zona quando interi pascoli e terreni incolti vennero trasformati in pistacchieti.
E a sottolineare quanto questa coltura sia tornata ad essere importante per Raffadali e il suo comprensorio, c’è il “Fastuca fest”, ovvero la Festa del Pistacchio di Raffadali che, arrivata alla quarta edizione, è in programma dal 21 al 23 settembre. Sarà l’occasione per festeggiare il buon esito della pubblica audizione ma anche per sottolineare il buon andamento della raccolta che, iniziata la scorsa settimana, proseguirà fino alla prima decade di ottobre vista la scalarità della maturazione dei frutti. Benché il 2018 sia da considerare un’annata di scarica (la pianta del pistacchio per sua natura presenta alternanza di produzione), la quantità è soddisfacente e la qualità è buona. «Merito anche del supporto fornito dal Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università di Palermo – afferma Calogero Frenda, presidente dell’Associazione per la tutela del pistacchio di Raffadali – con cui stiamo conducendo un progetto di verifica e monitoraggio di insetti e funghi patogeni e messa punto dei relativi protocolli di difesa». I risultati della sperimentazione saranno resi noti durante il Fastuca Fest in un incontro in programma a Raffadali nella mattina del 23 settembre.